I crocifissi che spariscono dagli ospedali
Questa è la rubrica della posta dei lettori: ogni settimana selezioniamo una lettera arrivata in redazione, risponde il direttore. Se vuoi contattarci, scrivi a direzione@messaggeroveneto.it

Caro direttore,
“Coprire i crocifissi negli ospedali e sui defunti è un sopruso contro i diritti dei cristiani” “I crocifissi negli ospedali non si vedono più”, “Voler fasciare, velare o nascondere i simboli che stanno sulle teste dei malati significa far loro una guerra”.
Queste frasi, estrapolate da un articolo uscito sul Messaggero Veneto le ha scritte Ferdinando Camon. Articolo del quale sono molto felice di essermi imbattuto in quanto mi dà l’opportunità per una personale notazione che mi chiama direttamente in causa, in quanto svolgo il mio servizio accompagnando le persone nelle fasi ultime della loro vita. La maggior parte di queste, arrivate al tragico momento del trapasso, hanno una struggente nostalgia del crocifisso (che manca!); non hanno imparato a farne a meno, invano lo cercano... “per loro è più che una medicina”. Va da sé che condivido parola per parola il pensiero espresso dallo scrittore Camon, non si può mettere tutto a tacere.
Il crocifisso è il cuore del cristianesimo, è il simbolo della nostra fede, della nostra salvezza, delle nostre radici... e penso che sia compito di ogni cristiano difenderlo senza ambiguità e senza debolezze, come ha fatto Camon. “Il crocifisso è segno di scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani” (1^ cor 1,23); è diventato invece scandalo in primo luogo per i cristiani, i quali per non offendere la religione degli altri non difendono la nostra.
Che siano i non credenti a opporsi all’esposizione del crocifisso è quanto meno comprensibile, ma che lo facciano le gerarchie della Chiesa Cattolica è un paradosso che non riesco a mandar giù: “C’è il rischio (esponendo il crocifisso) di turbare le coscienze dei non credenti e di seminare divisioni” (Cardinale Marx).
Ho fondata speranza che quel “vuoto” possa essere riempito, perché nessuna battaglia è persa se si prende posizione e si combatte.
Egidio Marin, diacono di Cassacco
Caro Egidio,
grazie per il suo meritorio impegno nella cura spirituale di chi soffre. Le osservazioni dello scrittore Camon erano appunto riferite alla (s)comparsa dei simboli del Cristianesimo da alcuni luoghi pubblici. E lei interviene a sostegno della tesi del professore. Io credo non bastino i simboli, ma siano necessari il coraggio, i comportamenti, l’esempio. Le Chiese sono sempre più vuote, i sacerdoti non ci sono. Per fortuna in molti casi c’è l’impegno dei laici, ma non bastano a colmare i vuoti lasciati e a frenare la secolarizzazione.
Insomma, secondo me non è sufficiente il Crocifisso appeso alle pareti per rimarcare la propria Fede. Chi ne è testimone la vive senza paure
Io - che diversamente da lei non sono del mestiere - tenderei però a separare il personale dal generale. Le imposizioni non mi piacciono e non credo siano utili all’affermazione del proprio Credo. È un percorso intimo che non necessita di atteggiamenti estremi, e questo vale anche per le altre religioni che talvolta vengono guardate con timore e “paura” per la diversità. È reciproco. Ma la diffidenza a cosa porta? Genera odio. Abbassando le barricate si avvia la conoscenza.
Le istituzioni laiche hanno una finalità, un compito, un percorso. Altro è la Chiesa, se poi alcuni vertici abdicano al loro ruolo secondo lei potrebbero indebolirla. Lei continui nel suo compito di prendere posizioni e combattere per non perdere le sue battaglie. E coltivi con la sua delicatezza la libertà di condividere il crocifisso con chi soffre.
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