Il Bilancio di genere 2023 dell’Ordine dei Commercialisti di Pordenone

Ordine dei commercialisti promuove la parità di genere attraverso azioni concrete e bilanci di genere

L’Ordine Nazionale dei Commercialisti aderendo a principi consolidati in ambito internazionale, europeo e nazionale in materia di pari opportunità ha istituito nel 2021 i Comitati Pari Opportunità. L’esigenza di realizzare attraverso misure concrete un’effettiva parità di genere in tutti i contesti organizzativi, tanto più negli Enti Pubblici, trova fondamento nei principi della Costituzione italiana. L’art. 3, non solo vieta ogni forma di discriminazione, ma impone, di contrastarle e di scardinare gli effetti che le stesse hanno prodotto nel corso del tempo, anche attraverso l’adozione di specifiche azioni a supporto dell’uguaglianza.

Gli artt. 37 e 51 assicurano alle donne e agli uomini pari condizioni sul lavoro e nell’accesso agli uffici pubblici prevedendo di realizzare un’uguaglianza sostanziale e non solo formale attraverso misure promozionali. La promozione della parità di genere rappresenta anche un pilastro del programma europeo NextGeneration EU. Gli Stati, per accedere ai fondi del Recovery Fund, mediante l’elaborazione dei piani nazionali di ripresa e resilienza devono promuovere l’uguaglianza come azione trasversale alle politiche di ripresa economica. Gli obiettivi del comitato sono di promuovere politiche di pari opportunità nell’accesso, nella formazione e nella qualificazione professionale, di prevenire, rimuovere e contrastare i comportamenti discriminatori sul genere, e su qualsivoglia altra ragione ed ogni ostacolo che limiti, di diritto e di fatto, la parità e l’uguaglianza sostanziale nello svolgimento della professione di commercialista.

Le funzioni principali del comitato sono di individuare condizioni soggettive od oggettive di disparità nell’ambito istituzionale di pertinenza dei commercialisti, vigilare sull’applicazione delle norme esistenti in materia di pari opportunità e non discriminazione sia all’interno dell’Ordine che all’esterno, con compiti di intervento laddove si ravvisi una non conformità alla norma, promuovere iniziative e confronti tra iscritti all’Ordine, i Praticanti e altri operatori del diritto sulle pari opportunità, individuare forme di sostegno ed iniziative volte a promuovere la crescita professionale degli iscritti e dei tirocinanti operanti in situazioni soggettive od oggettive di disparità e predisporre il bilancio di genere dell’ordine territoriale.

Di recente il consiglio nazionale dei commercialisti ha emanato le linee guide per la predisposizione del bilancio di genere dell’ordine e per la prima volta è stato predisposto dall’Ordine di Pordenone ed è stato presentato all’assemblea degli iscritti del 16.05.2024. Il Bilancio di genere è uno strumento di analisi e valutazione che consente di misurare l’impatto di politiche e azioni su donne e uomini, evidenziando eventuali divari di genere e promuovendo l’equità. Il bilancio di genere analizza in particolare l’evoluzione nel tempo della situazione degli iscritti all’ordine e dei suoi giovani praticanti nonché il divario retributivo tra i generi comparando la media dei redditi a livello nazionale, regionale e dell’ordine di Pordenone. L’osservazione è stata fatta sui dati delle iscrizioni all’ordine e sui redditi medi suddivisi per genere forniti dalle due casse di previdenza che raggruppano dottori commercialisti e ragionieri commercialisti. Il Bilancio è stata redatto sulla base delle linee guida nazionali che suddividono gli iscritti per generazioni. Al 31.12.2023 gli iscritti ammontano a 431 di cui 299 maschi (61%) e 192 femmine (39%). La generazione che costituisce quasi la metà del campione, è quella degli iscritti nati dal 1965 al 1980 pari a 236 su 491. La presenza femminile cresce con l’avanzare generazionale e tra i c.d. millennials, nati tra il 1981 a 2000, il genere femminile supera il genere maschile (45 contro 32). Tenendo conto della suddivisione per fasce decennali d’età nelle fasce più giovani tra 20-30, 31-40 e 41-50, c’è una netta preponderanza femminile mentre l’esatto contrario avviene nelle altre classi tra 51-60, 61-70 ed oltre. Va rilevato anche che l’ordine di Pordenone è competente ad iscrivere professionisti che esercitano o hanno la residenza nell’ambito della circoscrizione del Tribunale di Pordenone che si estende al veneto orientale ed infatti, dal 2016, numerosi colleghi provenienti dall’area del portogruarese si sono trasferiti dall’Ordine di Venezia a quello di Pordenone.

Con riferimento ai giovani praticanti negli ultimi 10 anni si registrano 152 nuove iscrizioni in sostanziale parità tra i generi (80 femmine e 72 maschi) ed in tendenziale aumento dal 2014 ad oggi e con leggera prevalenza maschile negli ultimi 3 anni. Tra le cariche istituzionali la presenza femminile è aumentata progressivamente tanto da essere maggioranza nel mandato in corso.

I dati reddituali forniti dalle due casse di previdenza sono stati raggruppati, a livello Italia, di Regione FVG e dell’Ordine di Pordenone, per genere e per classi d’età rilevandone il divario retributivo. Dal punto di vista reddituale emerge che nelle fasce d’età più giovani, il reddito tra uomini e donne è più equilibrato, ma superata la soglia dei 40 anni, il divario si manifesta con evidenza risultando il divario degli iscritti all’ordine di Pordenone anche maggiore rispetto alla media nazionale e regionale, e ciò non trova giustificazione nell’identica formazione, professionalità e impegno va colmato promuovendo cultura ed azioni di parità.

Il terzo settore: un pilastro per la coesione sociale e lo sviluppo
Esiste un sistema sociale ed economico che si affianca alle istituzioni pubbliche (Primo settore) e al mercato (Secondo settore) e che interagisce con entrambi per l’interesse delle comunità. Questo sistema, definito Terzo settore, condivide con le istituzioni pubbliche e il mercato la caratteristica di svolgere attività di interesse generale e di essere formato da enti privati.

Il Terzo settore è quindi un insieme di enti di carattere privato che agiscono in diversi ambiti, dall’assistenza alle persone con disabilità alla tutela dell’ambiente, dai servizi sanitari e socioassistenziali all’animazione culturale oltre ai servizi di welfare istituzionale e sono presenti per la tutela del bene comune e la salvaguardia dei diritti negati. Il Terzo settore esiste da decenni ma è stato riconosciuto giuridicamente in Italia solo nel 2016, con l’avvio della riforma (peraltro non ancora conclusa) che lo interessa e che ne definisce i confini e le regole di funzionamento. Sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore (RUNTS). Al di là degli enti iscritti (volontariamente o per disposizione di legge) al RUNTS, si registra comunque in Italia e nella nostra Regione, un numero elevatissimo di enti che svolgono attività, senza scopo di lucro, in favore della collettività. I primi risultati (provvisori) del censimento permanente delle istituzioni non profit (INP) avviato nel 2022 dall’ISTAT e relativo all’anno 2021, ci indica che le istituzioni non profit attive in Italia sono 363.499 e impiegano complessivamente 870.183 dipendenti.

Alla luce dei risultati della rilevazione campionaria dell’ISTAT, il 72,1% delle INP attive nel 2021 si avvale dell’attività gratuita di 4,661 milioni di volontari. I volontari italiani rappresentano uno dei pilastri portanti del settore, svolgendo attività che incidono fortemente sullo sviluppo economico e sociale del paese, sulla qualità della vita, sulle relazioni sociali e il benessere dei cittadini. In un quadro di così elevata rilevanza sociale (oltre che economica) il ruolo dei Commercialisti a fianco degli enti del terzo settore e, più in generale, delle istituzioni non profit, è fondamentale. Il supporto e l’assistenza dei Commercialisti agli enti non lucrativi spazia dai più basilari servizi di natura contabile e fiscale, fino al controllo di gestione, al controllo interno, alla revisione legale dei conti e, in particolar modo, alla vigilanza sull’osservanza della legge e dello statuto e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione nonché sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile di questi enti.

Gli enti non lucrativi necessitano di un punto di riferimento per l’informazione e la propria formazione specifica, specie riguardo le dinamiche di funzionamento e le responsabilità degli organi sociali, senza dimenticare le attività di rendicontazione economica e sociale. In questo senso, i Commercialisti sono al fianco del mondo del volontariato svolgendo il proprio ruolo di consulenti, componenti degli organi di controllo, revisori legali e amministratori, perché il non-profit rappresenta un settore fondamentale per la coesione sociale del territorio e dell’intero Paese.

La professione del dottore commercialista
La professione del dottore commercialista riveste un ruolo importante nel settore dell’economia diventando, negli ultimi anni, sempre più centrale e fondamentale nella vita delle imprese e dei contribuenti. I contesti storici ed economici degli ultimi anni hanno influenzato le dinamiche professionali, variandone il core business e il ruolo occupato dal professionista all’interno della società civile; se da un lato, negli anni settanta, il dottore commercialista rivestiva la funzione di esperto aziendale che assisteva l’imprenditore nella sua organizzazione produttiva e soprattutto finanziaria con competenze trasversali e, marginalmente, affrontava problematiche tributarie, oggi il suo ruolo è decisamente cambiato. Con l’avvento della riforma fiscale del 1972 tutt’ora in atto, il dottore commercialista è diventato un fiscalista costretto a seguire riforme, adempimenti fiscali, normative in costante aggiornamento con difficoltà a seguire l’imprenditore nelle scelte strategiche. Con l’integrazione dell’intelligenza artificiale però, in un contesto in cui sono in atto cambiamenti tecnologici, culturali, normativi, burocratici e di mercato, la professione del Dottore Commercialista è destinata ad una radicale trasformazione diventando, con le sue competenze professionali, una figura indispensabile sia per le aziende che per il paese.

Il professionista, specializzando e approfondendo le sue competenze, ricoprirà nuovamente il ruolo di consulente aziendale diventando una figura chiave nel supportare le aziende nell’adattamento a mercati in continuo sviluppo, offrendo supporto in termini di pianificazione strategica e di controllo preventivo della crisi aziendale. In questo processo di cambiamento della professione due sono le parole chiave: specializzazione e aggregazione. Sul fronte delle specializzazioni, per i dottori commercialisti la tecnologia è destinata a diventare sempre più centrale. Il professionista deve essere in grado di cogliere le opportunità derivanti dall’intelligenza artificiale; grazie ad essa, infatti, può liberare risorse, in termini di tempo e personale, da destinare ad attività a maggiore valore aggiunto. Al giorno d’oggi, infatti, l’imprenditore non si rivolge più al consulente solo per la pianificazione fiscale-previdenziale e per gli adempimenti formali ma è alla ricerca di indicazioni che gli possano garantire la sopravvivenza ed è per questo motivo disposto a investire in consulenza.

L’intelligenza artificiale è e sarà strumentale alla trasformazione digitale delle imprese e dei professionisti, i quali dovranno attrezzarsi non solo per affrontare questo percorso ma soprattutto per poter essere loro stessi ad accompagnare le aziende nella transizione digitale. Altro aspetto fondamentale, non solo organizzativo da tenere in considerazione, riguarda il modello di business. I piccoli studi potranno avere successo sul mercato se riusciranno ad avviare processi aggregativi, mettendo a fattor comune le risorse e aumentando l’efficienza complessiva dei servizi offerti. In strutture dimensionate i singoli professionisti potranno specializzarsi internamente anche in nuovi ambiti diversi da quelli tradizionali, quali ad esempio data science, e-commerce, identità digitale, marketing professionale, intelligenza artificiale, privacy ed ESG. In conclusione, come visto, l’integrazione dell’intelligenza artificiale nel settore contabile sta trasformando radicalmente il ruolo del commercialista. Molte attività ripetitive e manuali possono essere affidate all’intelligenza artificiale, per ridurre i tempi di esecuzione e dedicarsi così ad attività strategiche. La sfida per i commercialisti sarà quella di abbracciare questa trasformazione, aggiornando le proprie competenze e adattandosi a un ambiente lavorativo in continua evoluzione favorendo le aggregazioni professionali e ampliando il loro network di collaborazioni. In questo contesto giocheranno un ruolo fondamentale i giovani professionisti che con le loro competenze digitali native saranno non solo protagonisti del cambiamento ma potranno allearsi con gli studi professionali tradizionali per affrontare al meglio le sfide del futuro.

Crisi di Impresa
Prima dell’entrata in vigore del Codice della Crisi del 2022, la norma che regolava lo stato di insolvenza delle imprese, la cosiddetta “Legge Fallimentare”, era quella del 1942. A metà del secolo scorso era ancora dominate la convinzione che l’impresa in perdita, l’azienda fortemente indebitata, fosse il risultato di una cattiva gestione. Insomma, radicato era il principio che la crisi dovesse avere un colpevole, l’imprenditore! Non era quindi il mercato sempre più concorrenziale, le “innovazione distruttive”, i “credit crunch”, la crisi era solo ed unicamente conseguenza della cattiva gestione aziendale … pertanto l’imprenditore, in quanto gestore, andava punito. L’economia nel tempo si è evoluta, nuovi mercati sono stati aperti, altri sono stati chiusi, innovazioni tecnologiche continuamente superano sé stesse, nulla sembra ormai più stabile se non che, con ricorrenza, nuove crisi colpiscono ampi settori industriali, dissesti che portavano al “fallimento” imprenditori di grande successo fino a qualche anno prima. Si è andata così maturando una diversa considerazione, dapprima solo nei testi specialisti, nelle organizzazioni industriali, poi anche nelle sedi parlamentari, ovverosia che la “crisi di impresa” è qualcosa che ha a che fare con la normale vita ciclica dell’azienda, che crisi e successo si susseguono naturalmente, che forse tutta la colpa non può essere addossata all’imprenditore. Quando nel 2016 Nicholas Taleb illustrò, nell’omonimo libro, la sua teoria del “cigno nero”, la gran parte degli operatori economici non vi portò forse la dovuta attenzione. In fondo, a detta dello stesso Autore, gli eventi di grande impatto, difficili da prevedere, sono molti rari, anche se hanno un grande effetto sulla nostra vita. Questi eventi, con scarse probabilità di accadere, seppure potenzialmente molto forti, non sono normalmente considerati possibili, un po’ come l’allevatore di cigni, che non si aspetta mai di trovarne nella covata schiusa uno nero. Questi eventi sono (apparentemente) molto rari ma hanno un enorme effetto sulla vita civile … e fanno “fallire” molte aziende.

La presa di coscienza che la crisi di impresa è solo una fase aziendale ed alla cui base, il più delle volte, non vi è alcuna colpa, unità al susseguirsi di cigni neri, incertezza ed instabilità che rende ancora più difficile “fare impresa”, ma comunque nella convinzione che “fare impresa” è il motore del nostro benessere, hanno indotto il legislatore comunitario, seguito da quello nazionale, ad ideare strumenti di sostegno all’imprenditore che deve affrontare il dissesto. Vi è quindi un cambio radicale di visione: si è passati dalla “Legge fallimentare”, che voleva tutelare i creditori e punire l’imprenditore, ad un “Codice della Crisi di Impresa” che mette a disposizione dell’azienda una serie di strumenti utili al superamento del suo stato patologico. Il punto di partenza, la riflessione fondamentale del legislatore è stata che l’emersione tempestiva della crisi e la conseguente opportunità di ristrutturazione in una fase iniziale l’azienda, unità alla consapevolezza di offrire al debitore una “seconda chance”, invero opportunità presente nella cultura anglosassone e quasi sconosciuta all’esperienza italiana, hanno portato prima a progettare e poi attuare una radicale riforma della legge sull’insolvenza.


In sintesi, i pilastri della riforma sono tre:
1) la predisposizione di soluzioni giuridiche che garantiscano alle imprese e agli imprenditori che sono in difficoltà finanziarie la possibilità di accedere a quadri di ristrutturazione preventiva che consentano di conservare la continuità aziendale;
2) impedire la perdita di posti di lavoro nonché la dispersione delle competenze aziendali, vero patrimonio dell’impresa, nella consapevolezza che la vendita liquidatoria dei beni aziendali distrugge il vero valore e non porta nulla, o quasi nulla, ai creditori;
3) nel contempo, facilitando la ristrutturazione preventiva, contribuire a ridurre il rischio di un deterioramento dei crediti, soprattutto di quelli bancari, che, se accumulati per lungo tempo, hanno grave effetto recessivo sull’intera economia del Paese.


D’altro canto, l’apertura del legislatore ad un nuovo rapporto con l’imprenditore in crisi, non più visto quale “problema” da smaltire ma quale opportunità di rilancio, vede questo ultimo invitato, o meglio obbligato, ad adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e ad assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte, istituendo nella propria azienda un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato all’attività svolta.
L’imprenditore quindi è chiamato a rivalutare, osservare e se del caso rafforzare la propria organizzazione, con la finalità di rendere la propria azienda resiliente, capace di sopportare gli eventi inattesi, ormai sempre più frequenti, sapendo però che sono a sua disposizione nuovi strumenti, ove la crisi dovesse mettere in forse la continuità dell’attività industriale. In parole povere, una sorta di scambio. Tu, imprenditore, rafforza l’organizzazione della tua azienda, predisponi dei presidi per cogliere subito l’arrivo della crisi, ed io, legislatore, ti metto a disposizione una serie di strumenti giuridici, che ti agevoleranno nel trovare una soluzione in caso di difficoltà.
Allo scopo, il nuovo Codice, nel rafforzare le procedure esistenti, aggiunge nuovi istituti giuridici, uno dei quali merita essere citato: la “Composizione negoziata della crisi”. Questa nuova procedura, introdotta nel 2021 e poi modificata 2022, consente all’imprenditore di convocare un “tavolo” di risoluzione della crisi, a cui invitare i creditori di maggior peso, assistito da un esperto, il tutto all’interno della protezione giuridica offerta dalla Camera di Commercio, senza però l’intervento del Tribunale. Un tavolo negoziale al quale l’imprenditore e i creditori sono obbligati ad agire ed intervenire con lealtà e buona fede, nell’interesse comune di far proseguire l’attività ad aziende che, seppur inciampate in difficoltà finanziarie, hanno ancora vitalità e capacità di produrre valore. Infatti, il principio portato dall’art. 4 del nuovo Codice, è un generale obbligo per debitori e creditori di comportarsi secondo buona fede e correttezza, non solo nella nuova composizione negoziata, ma anche in tutte le trattative e procedimenti per l’accesso agli strumenti di risoluzione della crisi e dell’insolvenza.

Insomma, un chiaro segno del cambio di passo; da una legge che “rincorreva” l’imprenditore indebitato per forse punirlo, ma certamente per umiliarlo, ad un Codice che stimola e supporta l’accordo tra imprenditori e creditori, al fine di trovare una soluzione che, prima di tutto, consenta la prosecuzione dell’attività dell’azienda.
E’ un cambio di passo importante, epocale, che richiede uno sforzo ai creditori nel mutare il loro atteggiamento, ma anche agli imprenditori, che devono diventare “protagonisti” della crisi della loro impresa, sapendo cogliere i primi segni, non occultarli, ed attivarsi non appena si fanno rilevanti, coinvolgendo le professionalità che quotidianamente supportano l’azienda.
Infatti, seppur vero che qualsivoglia soluzione industriale non potrà che provenire dall’imprenditore, saper coinvolgere i propri consulenti, il proprio commercialista, gli consentirà di valutare e ponderare le diverse strade offerte dal nuovo Codice, nella consapevolezza che non basta immaginare la soluzione ma deve essere individuata anche la giusta strada giuridica da percorrere: le professioni economico-giuridiche, in particolare i dottori commercialisti, hanno investito le proprie risorse nella “prevenzione e risoluzione della crisi di impresa”, e sono i consulenti pronti ad affiancare le imprese in questa ennesima sfida che le attende.

Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Pordenone Sede Legale
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