Marco Mengoni vince il festival di Sanremo: tra realtà parallela e ritorno al passato, il meglio e il peggio del 2023

Il premio del miglior testo è un po’ friulano: consegnato ai Coma_Cose della pordenonese Francesca Mesiano

Gian Paolo Polesini
Italian singers Marco Mengoni poses with the prize after winning the the 73rd Sanremo Italian Song Festival, in Sanremo, Italy, 11 February 2023. The music festival will run from 07 to 11 February 2023. ANSA/ETTORE FERRARI
Italian singers Marco Mengoni poses with the prize after winning the the 73rd Sanremo Italian Song Festival, in Sanremo, Italy, 11 February 2023. The music festival will run from 07 to 11 February 2023. ANSA/ETTORE FERRARI

Al festival della lettera di Zelensky all’Italia (alle 2.20 che forse nemmeno lui ha ascoltato)— «L’Ucraina vincerà la guerra, vincerà assieme al mondo libero. Invito i finalisti del festival a Kiev. E un giorno ascolteremo la nostra canzone della vittoria» — al festival più social della storia (il più incredibile e inaspettato spot alle dirette Instagram), al festival del baci (Rosa Chemical stampa la bocca sua su quella di un Fedez spaparanzato in platea e, giorni prima, la meravigliosa Rocío Muñoz Morales si è baciata il confuso Amadeus, al festival più patriottico (e ipocrita, almeno nella prima puntata), al festival dei non ritorni in cuffia, ecco, proprio questo festival qui con Gianni e Ama ha incoronato chi era destinato già dall’inizio: Marco Mengoni con “Due vite”, incoronato alle tre di mattina. Siete folli, ragazzi.
 

Solamente il podio non era poi così prevedibile. Anzi. Fuori Colapesce & Dimartino e Giorgia. Secondo Lazza, terzo Mr.Rain, quarto Ultimo, quinto Tananai. Il resto della truppa segue alla confusa, i numeri non contano più. Tanto ognuno, per un po’, qualche disco lo venderà per non parlare della compilation. Il premio del miglior testo è un po’ friulano: consegnato ai Coma_Cose della pordenonese Francesca Mesiano.

Mai nessun dubbio sulla solidità di Megoni, in partenza per un sostanzioso tour. Giorgia non aveva la canzone, Colapesce & Dimartino come sempre orecchiabilissimi, ma non è bastato, Ultimo poche chance, Oxa fuori gara da subito, Modà non pervenuti (ma il brano piacevole), intrigante Madame, imperiosa Elodie, la personalità di Shari, assai piacevole Gassmann.

Perché i “Depeche Mode” hanno cantato due canzoni e se la sono svignata senza nemmeno “un come va?”. Boh. Una magnifica Vanoni , voce p-a-z-z-z-e-s-c-a e un chiacchierone Paoli usciti distanti, ma uniti dalla storia (Il cielo in una stanza, Sapore di sale, L’appuntamento, L’eternità) ed è stato comunque un festival più vicino a Tutankhamon che a Garibaldi, il che è tutto dire. Vedi anche Al Bano, Ranieri, Cugini di Campagna, Peppino di Capri.

Ed eccoci al classico gesto dell’archiviare, che implica inevitabilmente una somma di ricordi. Quel voltarsi indietro che noi italiani amiamo da impazzire. Forse perché siamo imbrigliati nel limbo del domani non v’è certezza. Finché tornerà il “Cantante mascherato” o “Tale e quale Sanremo” su Raiuno il futuro ci è precluso e, quindi, tanto vale restare fermi.

Non era cominciato benissimo, ‘sto festival venti ventitré. Il falso patriottismo dell’incipit per non dire l’ipocrisia della prima puntata con un Benigni di troppo e un Mattarella che è rimasto in balconata per un quarto d’ora, mi avevano sconfortato talmente tanto che avevo chiesto asilo politico a Ginevra. Ah, per non parlare della Chiara Ferragni che andrebbe doppiata e soprattutto vestita meglio.

Buttiamo dentro tutte le fesserie del settantatré, dai, che poi pensiamo al resto.

No, dai, Blanco. Adesso gira la voce che era tutto previsto. Distruggere l’amazzonia sanremese ha rasentato la demenza, ma se le pedate alle rose avevano un senso mediatico, allora ciao ciao spacco la tv e mi ritiro in campagna con le capre.

L’altro genio Fedez strappa la foto del viceministro Bignami (anche lui, però, che gli viene in mente di vestirsi da Hitler? benedetto uomo) e Fratelli d’Italia minaccia purghe in Rai.

Tutto ciò conferisce al Paese quel senso di imbarazzo, per non dire di peggio. Siamo talmente grotteschi e ridicoli che negli ultimi anni comici e clown hanno chiuso bottega perché la realtà fa più ridere della finzione.

Sanremo ha istigato ancor di più l’uso della realtà parallela. Il messaggio è che Amadeus in due giorni senza fare un tubo ha tirato su 1 milioni e 400 mila follower. Cioè capite? Fare dirette Instagram dal palco dell’Ariston parrebbe idiota come evento, essendo una diretta Rai. Ma questo è il mood del contemporaneo, guardare il cell per parlarsi pur essendo uno di fronte all’altro in carne e puro spirito. Un paradosso, ma è questo che stiamo vivendo.

Continuo? L’autocelebrazione del festival è imbarazzante. Quel dirsi bene e benissimo l’un l’altro fa pensare a un bisogno di invocare sostegno perché in mancanza di convinzione. Psicologicamente così funziona la faccenda.

Le cose buone dal mondo della Liguria di Ponente:

Morandi. Chiediamo scusa, ma la prima puntata lo avevamo svilito come valletto. In effetti non è il ruolo per lui. Gianni, però, ha saputo con la pazienza del frate manuense uscire dal costume e salire laddove osano le aquile con il medley dedicato all’amico Lucio Dalla. Ogni tanto si dice “brividi” per dire, stavolta no, li abbiamo sentiti per davvero.

E “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli? Poi, certo, al Gino scappa qualche gossip di troppo su Little Tony “cornuto” e Ama e Morandi cercano di zittirlo. Che sagoma il Gino. “Sapore di mare”, un altro sommovimento dell’anima. Se ci pensate su, sempre agli anni Sessanta/Settanta/Ottanta siamo ancorati.
 

E le donne de festival? Tre strepitose ragazze: Fagnani, Egonu e Francini. Avrei l’imbarazzo per eleggere una regina. Ne facciamo tre e fischia finita. Bon, pare basta, no? È ora di fare altro. Ciao.

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