A 25 anni dalle rivelazioni torna Lady Golpe: ci siamo inventati tutto

UDINE. È agli arresti domiciliari a Roma per una condanna definitiva del 2015. Afferma di essere malata e di aver bisogno di cure ospedaliere. Ma soprattutto torna, dopo molti anni, a far parlare di sè in un’intervista, realizzata nello studio del suo avvocato Antonio Morelli e rilasciata al “Fatto quotidiano”.
Stiamo parlando di Donatella Di Rosa, 60 anni, che negli anni Novanta diventò famosa come Lady Golpe. E la cui intricata e complicata vicenda partì proprio dal Friuli, precisamente dalla redazione del “Messaggero Veneto”, che all’epoca fu al centro della ribalta nazionale e internazionale.
Tra le rivelazioni che la Di Rosa fa al quotidiano diretto da Marco Travaglio una rigurda proprio il presunto colpo di Stato che avrebbe visto come protagonisti suo marito, il tenente colonnello dell’Esercito Aldo Michittu, il comandante della Folgore Franco Monticone e altri ufficiali, con la partecipazione di un neofascista dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari)i Gianni Nardi, che risultava deceduto molto tempo prima in Spagna.
Ebbene nell’intervista la donna ammette che era tutto falso. «Seguivo mio marito - testuali parole della Di Rosa riportate dal Fatto - ho sbagliato. Lo so, non c’era nessun golpe, volevamo solo i soldi di Monticone».
Fu proprio il generale della Folgore, amante e vittima della signora, che gli spillò nel tempo circa 800 milioni di lire con le più svariate scuse, a subire le conseguenze più gravi dallo scandalo, con una brillante carriera militare che fu messa a soqquadro.
Le presunte rivelazioni della Di Rosa crearono un mezzo terremoto nelle forze armate, con rimozioni, dimissioni e processi per alto tradimento poi finiti nel nulla. Lei e il marito, Aldo Michittu, furono arrestati e rimasero in carcere 23 giorni, tra l’ottobre e il novembre del 1993.
Di Donatella Di Rosa si persero le tracce per anni, finchè i carabinieri, nel 2015, per un controllo sul figlio (che non l’ha mai abbandonata) la rintracciarono.
Lei si presentò in caserma, disse di essere latitante. Per la vecchia condanna definitiva si fece due giorni di galera, poi ospedale e domiciliari, dove è tuttora. Medici e psichiatri hanno riconosciuto il decadimento delle sue condizioni fisiche e alcuni riconoscono i tratti «manipolativi» del suo carattere. Gli stessi giudici, che le hanno concesso la misura restrittiva meno afflittiva rispetto al carcere, ne ribadiscono però la «pericolosità sociale», anche ricordando le sue relazioni nei «contesti eversivi» in cui maturarono le “rivelazioni” del 1993.
Ora la donna, con il figlio che crebbe in Friuli, vive in un appartamento del quartiere Trionfale a Roma e rischia lo sfratto per morosità. «Ero una che non pensava mai alle conseguenze di quello che faceva, lo facevo e basta», dice ancora al cronista del Fatto.
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