«Abbiamo in casa un tesoro: impariamo ad accorgercene»

Uno scrittore e una domenica speciale tra i pordenonesi sul lungofiume. «Non toccateci le abitudini». Ma davvero una difesa a oltranza vale la pena?

Partiamo col dire una cosa, semplice semplice: abbiamo un fiume che è uno spettacolo. Davvero, anche uno con la sensibilità di un muflone sardo (senza nulla togliere ai mufloni sardi, che so essere animali molto emotivi a volte), passando sul lungo fiume in una giornata come quella di ieri non può a un certo punto non fermarsi, spalancare la bocca e dire: «Cacchio, ma che bello è».

A me è successo una dozzina di volte ieri: perché il fatto nudo e crudo è che questa città ha lì nascosti - macché nascosti, sono davanti agli occhi di tutti, quasi sfacciati - angoli di bellezza incredibili.

Forse siamo noi che pensiamo siano nascosti, ma se succede questo il motivo è molto semplice: Pordenone è per noi come la nostra fidanzata storica, quella a cui bene o male ci siamo abituati, e quella che tradiamo sempre più spesso pensando che le altre siano più belle.

Beh, per restare in metafora: fatevi un giro sul lungo fiume senza le macchine e il traffico, e vi renderete conto che siete fidanzati con una specie di fusione tra Belén, Megan Fox e Bar Rafaeli. Non solo, ma ci scommetto quello che volete: a un certo punto della passeggiata direte: ma davvero a Pordenone c’è ’sto posto qui?

Perché se andate dal Ponte di Adamo ed Eva verso la rotonda di Obelix, dopo un po’, sulla sinistra, si apre una specie di piccola ansa del fiume che prende la direzione del centro città, e un angolo di verde pieno di un trionfo di salici, pioppi, betulle, roveri, olmi, tutti lì vicini, tutti diversi: tutti - perdonate l’entusiasmo - meravigliosi.

Se siete a corto di fantasia come posti dove portare la morosa - o quella che sperate lo diventi, per fare colpo, vi consiglio quel posto lì. Il problema è che, normalmente, se ce la portate, potreste sentire, mentre le state dicendo «Che bella che sei» un camionista ungherese che dà un’accelerata e che con uno spruzzo di fumo dalla marmitta potrebbe farcela sparire alla vista per qualche secondo.

Già, perché è quello che succede di solito in giorni che non sono ieri (anche senza il camionista ungherese).

Posso dire la mia, umilissima, opinione? Dal punto di vista turistico, se fossimo una squadra di calcio tipo, che ne so, il Barca, continuare a lasciare la Rivierasca aperta al traffico nel weekend sarebbe come giocare una finale tenendo in panchina Messi, Neymar e Suárez.

Perché in questo fine settimana, con la musica, i mercatini, i chioschi, li abbiamo fatti giocare: e la differenza si è vista. Passiamo per essere una città di pantofolai (vero) che detesta le novità (vero) e che non si sa divertire (verissimo). Il punto è che, però, quando in città succede qualcosa di bello, di diverso, di nuovo, questi luoghi comuni vengono immediatamente stravolti.

Le ho viste le facce dei pordenonesi ieri a camminare vicino al fiume: sorridevano. Rilassati. Non come spesso succede alle vasche in centro, che i conoscenti ti salutano a fatica, che è pieno di facce rigide e, diciamocelo, di fighetti che trasudano antipatia da ogni poro.

L’atmosfera che si respira di fianco al Noncello è un altra, e finalmente viene fuori la parte sciolta, spensierata, distesa di noi. È come se ci prendessimo una vacanza da noi stessi.

La cosa che sinceramente mi lascia allibito è come molte persone siano contrarie a chiudere questa strada magnifica nel weekend, perché stravolge le loro abitudini, costringe ad allungare un po’ il percorso in auto, cambia leggermente i programmi.

Ecco, in questo, noialtri pordenonesi, siamo proprio dei testoni, diciamocelo. Toccaci quello che vuoi, ma non le nostre abitudini, la nostra routine. In questo sì, siamo peggio dei mufloni sardi.

Ma venite a fare un salto sul lungofiume in una domenica come quella di ieri e, mufloni o no, cambierete idea.

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