“Abita” nel sottopasso della stazione di Sacile
SACILE. La sala d’aspetto e il sottopasso ferroviario come casa. Almeno tre senza fissa dimora, hanno dormito sulle panche o il pavimento nudo dallo scorso autunno a primavera.
«In stazione a Sacile soggiorna un quarantenne da qualche settimana: in corridoio, sala e quando è “sfrattato”, va nel sottopassaggio». Filippo è un architetto pendolare che lancia l’appello sull’emergenza “homeless”, cioè quelli senzatetto. «Con i pochi soldi che racimola – ha raccontato il progettista – va a comprare da mangiare nel piccolo market di viale Lacchin. Vogliamo dargli una mano?».
Rifugio-dormitorio dei poveri: la stazione è l’area franca delle emergenze. La sala d’attesa fa passare la notte a poveri, sbandati, qualche immigrato, gente che ha perso il lavoro e gli affetti. Magari anche la dignità: quando li scacciano dalla sala e dall’ingresso, si rifugiano nel sottopasso, sotto i binari. Dove il pavimento di piastrelle sbrecciate è più sporco e l’umidità è un tarlo nelle ossa. Le luci sempre accese: bastano per avere l’illusione di stare protetti dalle 22 alle 7.
Quelli che una casa non ce l’hanno, dicono che è l’unica stazione sulla tratta Venezia-Udine che resta aperta. «Giro in cerca di lavoro a Conegliano – Claudio lo aveva raccontato prima di Natale 2011, poi è sparito e ritornato a strappi –. Non ce n’è». Alla sera riprendono il treno per Sacile: il rifugio della stazione è aperto. Le temperature in picchiata della primavera tardiva, sono un problema per gli immigrati clandestini e nuovi poveri, cioè capifamiglia separati e rovinati dalla crisi economica, oppure ragazze che fanno la vita. Si incrociano dopo le 22 e all’alba.
L’alloggio di fortuna, il cappuccio tirato sul volto e gli annunci dei treni nelle orecchie sono il set di una “routine” che vuole dire molte cose. Una vita trapuntata di scelte sbagliate, l’illusione di farcela senza paracadute e, magari, qualche dipendenza di troppo. Non hanno un indirizzo stabile, oppure hanno dimenticato di avere una famiglia che faceva troppe domande e metteva a disagio. Uno di loro, di passaggio a Sacile, ha passato i 55 anni e dice di incassare la minima di pensione. Cercano il caldo e il sonno: una pace a tempo determinato.
«Ha una doppia vita la stazione di Sacile». Lo dicono gli studenti pendolari che, quando sbarcano dai treni in arrivo dal Veneto, incrociano quelli con lo zaino e le sporte di plastica. Nella sala o nel corridoio, qualcuno ci ha fatto la casa che non ha. Almeno per qualche notte di pioggia, poi d’estate ci sono le panchine dei parchi. Tirano su il bavero, quando dicono: «Cerchiamo lavoro e oggi non c’era niente»”.
Un anno fa, la sala d’attesa era il rifugio di due homeless italiani: un falegname pensionato con la minima e separato, che divideva le panche con un sacilese in cerca di fortuna. Poveri cristi e qualche africano, dorme in una macchina scassata tra Sacile e Pordenone. Nel bar della stazione passano il caffè e un toast, quando serve. I progetti di accoglienza sono targati Caritas, Associazione immigrati, onlus, enti locali e parrocchie. «Ma mancano – lo dice chiaro anche a Pordenone il pastore evangelico Giuseppe Miglio – i dormitori».
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