Accoltellò il compagno, chiesti 16 anni
Fiorella Fior colpì con un coltello da cucina il fidanzato Carlo Feltrin perchè voleva ucciderlo e non, invece, per la necessità di difendersi dall’aggressione che stava subendo. È quanto il pm Lucia Terzariol ha cercato di dimostrare, ieri, nelle circa due ore di requisitoria tenuta davanti alla Corte d’assise del tribunale di Udine, che dovrà pronunciarsi sull’accusa di omicidio volontario contestata alla donna. Condanna a 16 anni di reclusione la richiesta del magistrato, che ha comunque riconosciuto all’imputata la concessione delle attenuanti generiche. Assoluzione «perchè il fatto non costituisce reato» o «per legittima difesa», invece, la sentenza sollecitata dai difensori, avvocati Federica Tosel e Luigi Francesco Rossi, che hanno relegato come ultima ed eventuale alternativa l’eccesso colposo di legittima difesa. Risarcimento dei danni morali per un ammontare di 160 mila euro alla madre e 100 mila euro alla sorella della vittima, infine, le conclusioni depositate dalla parte civile, rappresentata dall’avvocato Libero Coslovich, di Trieste. La sentenza si conoscerà nella giornata dell’11 luglio.
L’imputata: mi picchiava
È stata la stessa Fior, 59 anni, di Udine, ex dipendente delle Poste, a ripercorrere, nelle spontanee dichiarazioni rese in apertura d’udienza, i pochi minuti - un paio in tutto - in cui, nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 2012, si consumò la tragedia. Si trovavano nel suo appartamento, al civico 2 di via Val Meduna, quartiere di San Domenico, e stavano come al solito litigando. Era capitato moltissime volte nei loro dieci anni di relazione. Alterati da un tasso alcolemico particolarmente elevato - 2,90 grammi di alcol per litro di sangue quello calcolato alla Fior -, si erano messi a discutere delle chiavi dell’auto: lui gliele stava chiedendo e lei non gliele voleva dare, ripetendogli di tornarsene a casa a piedi. Da qui, le violenze: prima la sberla da tergo che le aveva fatto volare via gli occhiali, poi il pugno in faccia che le aveva fatto saltare la dentiera e infine il calcio in pancia. Per proteggersi, lei era corsa in cucina e, con gli occhi gonfi di lacrime e il naso tumefatto, aveva afferrato la prima cosa che le era capitata a tiro per fermarlo: un coltello. E con quello gli aveva infilzato la spalla. Poi, non vedendolo più muoversi, si era precipitata fuori a cercare aiuto. Non trovando nessuno, era rientrata e aveva telefonato alla Polizia, che aveva fatto ponte con il 118. Quando i sanitari erano arrivati, per Feltrin non c’era più niente da fare. L’uomo aveva 46 anni.
L’accusa: ecco le prove
Almeno tre gli aspetti valorizzati dal pm per sostenere la volontarietà del delitto. Innanzitutto, l’arma: la Fior non avrebbe preso la prima cosa che aveva trovato, ma sarebbe entrata in cucina proprio con l’obiettivo di cercare un coltello. A farle montare la rabbia e maturare l’intento omicidiario, ben prima di quel frangente, invece, sarebbe stata la lettera che i carabinieri del Nucleo investigativo di Udine avevano trovato nel corso del successivo sopralluogo della casa: una parcella di 1200 euro, che la donna avrebbe dovuto pagare a un avvocato e che lei, che dava spesso soldi a Feltrin, non sapeva come saldare. Quanto alla dinamica dei fatti, il pm ha posto l’accento sulle due gocce di sangue della Fior rinvenute nella camera da letto - piuttosto che sulle tre trovate sul pianerottolo ed evidenziate dalla difesa -, per rivedere la dinamica dei fatti e smentire la sua immediata ricerca di aiuto.
La difesa: cercò solo di fermarlo
«Sofismi e non argomentazioni»: così i legali hanno “liquidato” le questioni sottoposte alla Corte dal pm, prima di passare alle rispettive arringhe. L’avvocato Rossi si è soffermato, in particolare, sulla semplificazione del ragionamento che scatta nelle persone in presenza di un pericolo - in questo caso, il conlitto fisico con il compagno -, per insistere sull’assenza di dolo nel gesto della Fior. La collega Tosel ha ricordato l’esito dei due incidenti probatori disposti dal gip in fase d’indagine sulle cause della morte e sulla scena del crimine (entrambi favorevoli alla versione di una reazione per proteggersi dalle botte) e concluso, ribadendo la tesi della legittima difesa. «È vero, lei impugnava un coltello - hanno detto i legali -, ma di fronte aveva un uomo che, con la sua mole, rappresentava di per sè un’arma». I difensori hanno inoltre depositato copia delle foto scattate alla Fior in carcere, a Trieste, un paio di giorni dopo l’omicidio e che documentano lo stato in cui era stata ridotta dalla collutazione con il compagno (documentazione che, nei mesi scorsi, era misteriosamente sparita dal fascicolo del pm e che i legali sono recuperato da una chiavetta Usb).
La famiglia: neppure le scuse
Una doverosa riabilitazione dell’immagine di Feltrin e un non meno indispensabile, seppur modesto, risarcimento morale ai parenti: l’avvocato Coslovich ha spiegato così la decisione della famiglia di costituirsi parte civile. «Non volevamo vedere demonizzata la figura del povero Carlo - ha detto -, sebbene non si possa nascondere che beveva e che faceva uso di modeste quantità di droga, pur senza arrivare mai alla cronicità. Alla madre, poi - ha aggiunto - non è mai stata presentata neppure una lettera di scuse». Presieduta dal giudice Angelica Di Silvestre (a latere la collega togata Mariarosa Persico e i sei giudici popolari), la Corte ha rinviato le parti all’udienza dell’11 luglio, per eventuali repliche e per la lettura del verdetto.
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