Accusata di ritardi su Villa Pirzio Biroli, Picchione assolta

Formula piena per l’ex soprintendente ai Beni architettonici. Il difensore: «Non era stata lei a trattare quella pratica»

UDINE. È uscita dal palazzo di giustizia con le spalle finalmente scariche Maria Giulia Picchione, l’ex Soprintendente ai Beni architettonici e paesaggistici per il Friuli Venezia Giulia che la Procura di Udine aveva accusato di rifiuto d’atti d’ufficio, sulla scorta di un esposto a firma di Corrado Pirzio Biroli per una pratica relativa alla sua storica villa di Moruzzo.

Quattro anni dopo l’inizio del procedimento, il tribunale collegiale presieduto dal giudice Paolo Milocco (a latere, i colleghi Mauro Qualizza e Luca Carboni) ha pronunciato nei confronti dell’imputata sentenza di assoluzione piena. Il pm Luca Olivotto aveva insistito per la sua condanna, indicando la pena in 2 mesi di reclusione, e il legale di parte civile, avvocato Luca Zema, aveva concluso con la richiesta di 10 mila euro di risarcimento dei danni.

Al centro della vicenda, il presunto ritardo nell’esame della richiesta di autorizzazione per i lavori di manutenzione di Villa Pirzio Biroli, che l’esponente aveva depositato nei suoi uffici di Udine il 27 luglio 2014. Trascorsi alcuni mesi senza ricevere alcun tipo di risposta, Pirzio Biroli aveva preso nuovamente in mano carta e penna e, l’11 dicembre, aveva presentato nei medesimi uffici una formale diffida a procedere entro trenta giorni dalla sua ricezione.

L’autorizzazione sarebbe in seguito effettivamente arrivata. Ma la data riportata, il 2 febbraio 2015, era bastata a fare scattare l’esposto a carico dell’allora soprintendente.

Non una voce nel deserto quella del diplomatico friulano. Durante il suo incarico triestino, Picchione fu spesso tacciata di esercitare le proprie funzioni con smisurato zelo e severità. Trasferita all’Aquila nel 2015, il suo nome aveva continuato a fare discutere, per una serie di querele e controquerele per presunti casi di diffamazione e per altri procedimenti giudiziari, compreso quello avviato dalla Corte dei conti e recentemente concluso con la sua condanna al pagamento di quasi 11 mila euro, a titolo di rimborsi di spese di missione percepiti tra il 2012 e il 2015.

Tre gli argomenti difensivi portati in discussione dall’avvocato Daniele Grasso, del foro di Venezia, a sostegno della richiesta di assoluzione. Innanzitutto, l’insussistenza di responsabilità in capo all’imputata, in quanto la pratica era stata direttamente trattata dal responsabile del procedimento cui lei stessa l’aveva assegnata e che non era stata poi coinvolta nell’inchiesta perché nel frattempo deceduta.

Nel merito, il difensore ha invece proposto l’analisi del contenuto della documentazione comprovante l’immediatezza con cui Picchione aveva sottoscritto l’autorizzazione, una volta che le era stata sottoposta. Infine, l’avvocato Grasso ha ricordato come all’imputata non fosse mai pervenuta alcuna segnalazione dalla responsabile del procedimento né rispetto alla diffida, né in termini di urgenza.

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