Acquisti online, l’economista: «Grandi e piccoli negozi modifichino l’offerta»
UDINE. Non sarà certo la prossima apertura del nuovo polo logistico di Fiume Veneto ad aumentare le vendite di Amazon in regione. Quelle stanno già aumentando motu proprio.
Ma l’annunciato sbarco del colosso statunitense in regione è la dimostrazione tangibile di una concorrenza sempre più temuta dal commercio tradizionale, che non a caso reagisce ponendo la questione della par condicio tra negozi “reali” e negozi virtuali.
A tremare non è soltanto la piccola distribuzione, già falcidiata dalla moltiplicazione dei centri commerciali, ma anche la grande, sempre più spaventata da un concorrente aperto 24 ore su 24, veloce nelle consegne e super competitivo nei prezzi, grazie anche all’evidente vantaggio fiscale di cui godono le multinazionali dell’e-commerce, abilissime a sfruttare la loro dimensione globale per minimizzare il peso delle tasse sul lavoro e sugli utili.
Esiste la possibilità di introdurre regole capaci di rendere meno impari la partita sul piano fiscale? «È un obiettivo che passa per un intervento dell’Unione Europea – spiega Michela Mason, docente di marketing e management al dipartimento di Economia dell’università di Udine – perché senza un’armonizzazione delle politiche fiscali a livello comunitario evitare pratiche elusive da parte delle multinazionali rimarrà un’impresa ardua».
Non a caso la web tax tanto annunciata in Italia, e perfino approvata ai tempi del Governo Gentiloni con la legge finanziaria per il 2018, non ha mai trovato attuazione. La soluzione adottata, infatti, dava una risposta in termini di aumento dell’imposizione indiretta, applicata con un prelievo del 3 per cento sui fatturati, ma non risolveva il grande nodo dell’esistenza o meno, ai fini della tassazione sui redditi, di un’organizzazione stabile dell’impresa nel nostro Paese.
«Di sicuro – prosegue Mason – il mercato dell’economia digitale è maggiormente soggetto a fenomeni di elusione ed evasione fiscale, sia per la sua caratteristica di aspazialità sia per la mancanza di regole adeguate, sulle quali però è indispensabile lavorare. Ma non solo a livello di singolo Paese, lo ripeto».
L’altra questione posta dalle categorie del commercio tradizionale, e in particolare dalla grande distribuzione, riguarda le regole. Ha ragione chi chiede più deregulation per negozi e centri commerciali per arginare la concorrenza dell’e-commerce?
Mason sembra escludere ricette di questo tipo. «Negozi e centri commerciali – risponde la docente – non saranno mai in grado di competere con la selezione infinita di prodotti e i prezzi dell’online. Né dovrebbero entrare in tale competizione.
Dovrebbero invece spostarsi in una direzione diversa, valorizzando le peculiarità che solo un negozio fisico può offrire: i centri commerciali, in particolare, dovrebbero proporsi sempre più come luoghi “esperienziali” aumentando l’offerta di eventi artistici e culturali, concerti, centri benessere, club fitness e mercati locali. Questi servizi forniscono un livello di svago e intrattenimento che non può mai essere soddisfatto online».
E il piccolo dettaglio? «Per i negozi di vicinato la sfida è sul terreno della prossimità ovvero – aggiunge Mason – quella forma di economia della comunità importante per produrre coesione e inclusione sociale, valorizzando l’importanza delle relazioni personali.
Se da un lato c’è l’onnipotenza di internet, nella società c’è anche una forte spinta verso l’aspetto umano, che va assecondata, per esempio curando sempre di più la bellezza dei centri storici e delle città. Il commercio non è solamente puro e semplice acquisto, ma anche un’esperienza sociale che non può essere riprodotta in rete». —
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