Addio a Fabrizio Frizzi, Gabriele e quella volta all'Eredità: «Era il mio idolo e andai in trasmissione»

Il nostro collaboratore Gabriele Franco quattro anni fa partecipò a Roma al programma della Rai “L’Eredità” e si ritrovò faccia a faccia con Fabrizio Frizzi. Un’esperienza significativa, raccontata in prima persona, che gli offrì la possibilità di conoscere un personaggio che ammirava sin da bambino.
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Ho conosciuto Fabrizio Frizzi il 16 aprile del 2014. Ero arrivato agli studi della Rai in Roma con un diretto da Udine, per partecipare come concorrente al programma televisivo “L’Eredità”. Un’esperienza tentata e andata a buon fine. Un provino telefonico, la selezione a Mestre e infine la chiamata tanto attesa.
Proprio in quell’occasione mi comunicarono che a condurre non ci sarebbe stato Carlo Conti. Fu quello il primo esperimento di staffetta alla conduzione del preserale. Cambiamento da poco per molti, ma non per me che ero cresciuto con Frizzi. Le serate con “Scommettiamo che…? ” le aspettavo quand’ero ancora in prima elementare. L’unico sgarro concesso al coprifuoco d’infanzia. Afef, showgirl e sua spalla al tempo, sinceramente non la sopportavo. Quel bambino di sette anni aveva occhi soltanto per Frizzi. Sempre elegante, sempre sorridente: il migliore. Prendevo un rotolo di carta immaginandolo un microfono e mi sentivo nel suo smoking davanti allo specchio di casa.
Tutti quei pensieri riemersero durante il viaggio verso la capitale. Ad accompagnarmi e a condividere quei ricordi c’era mia sorella, spalla nelle scenette da piccoli come nelle sfide da grandi. Una volta arrivati, tutto è iniziato a correre. La notte passata quasi senza dormire, la corsa per arrivare puntali, gli studi Rai. E dopo tanta burocrazia e i dovuti accorgimenti al vestiario, eccoci in otto concorrenti dietro le quinte. Proprio là, tra microfoni e accenti romani, incontrammo per la prima volta Fabrizio Frizzi. E lui si presentò con un gesto non dovuto, ma per lui necessario: conoscerci a uno ad uno, stringerci la mano e chiederci con voce raggiante: “Pronti ad iniziare?”.

Tutto lì attorno ricordava una catena di montaggio, ogni giorno nuovi concorrenti da sottoporre alle stesse alienanti procedure. Quanto stonava Frizzi, aveva l’entusiasmo del primo giorno e l’affetto del lavoratore più anziano. Me lo trovai davanti, sorriso contro sorriso.
L’unica frase che in quel momento il cuore palpitante riuscì a sputare fuori fu un “Ti seguo da sempre e come te sto studiando giurisprudenza”. Che banalità pensai subito. Lo stesso non ritrovai nella sua espressione, sembrava quasi avesse letto nel mio insolito balbettare tutto quello che in realtà avrei voluto dire. Una pacca sulla spalla prima di entrare e uno dopo l’altro ci introdusse. Mai mi sarei aspettato nel mio frac immaginario che un giorno sarebbe stato lui ad annunciare me.
L’emozione fu così tanta da chiamarlo Carlo, ma di questo nessuno se ne accorse sul momento. Davanti alle telecamere mi chiese dell’università, del futuro, di una fidanzata. Ogni domanda era viva, ogni parola la pronunciava con importanza, senza superficialità e con stupefacente interesse. Al mio vicino capitò addirittura lo strafalcione, Frizzi dal canto suo scoppiò in una risata capace di contagiare anche la burbera regia. Era al centro dello studio, ed era il centro di chiunque avesse attorno, mai con superiorità, solo con umanità.
La mia avventura non arrivò al finale, ci avrei tenuto a sedermi con lui sul tavolo della “ghigliottina”: me l’ero immaginata come una chiacchierata tra due amici al bar, sarebbe stata quella la mia vittoria. Al momento dei saluti, ancora davanti alle cineprese, ringraziai dell’esperienza e lui per la gentilezza. Voltai le spalle alla sala per tornare alle quinte e subito dopo per le vie di Roma, direzione casa.
Con me portai quell’occasione vissuta e una speranza: poterlo incontrare ancora una volta. Lunedì, assieme a Fabrizio Frizzi, se n’è andato anche il mio sogno.
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