Addio alle Province, Fvg primo in Italia

UDINE. Il Fvg ha il suo nuovo Statuto. Ieri, poco prima delle 18, la Camera ha infatti approvato in seconda lettura e senza alcuna modifica – dopo i due via libera consecutivi del Senato – il testo inviato a Montecitorio da palazzo Madama con 339 voti favorevoli, 61 contrari (Lega, Fi e Fdi) e 107 astenuti (M5s e Si) concludendo così il percorso costituzionale – avviato dal senatore Carlo Pegorer prima che in Parlamento arrivasse il testo licenziato dal Consiglio regionale – necessario a ridisegnare la Carta della nostra Regione.
Il nucleo centrale del nuovo Statuto approvato dalla maggioranza di Governo prevede la definitiva soppressione delle Province trasformando così il Fvg nella prima realtà d’Italia a dire addio agli enti intermedi, anticipando anche i tempi della riforma costituzionale che porta la firma del ministro Maria Elena Boschi e che dovrà essere sottoposta al vaglio del referendum confermativo d’autunno.
In realtà per il definitivo via libera all’eliminazione delle Province ci sarà la necessità di un ulteriore passaggio in Consiglio regionale e, comunque, il nuovo Statuto prevede una sorta di norma transitoria per gli enti ancora in vita cioè, di fatto, soltanto per la Provincia di Udine.
Il testo varato in via definitiva dalla Camera prevede che «le Province della regione Fvg esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale sono soppresse a decorrere dalla data stabilita con legge regionale e, comunque, non prima della scadenza naturale del mandato dei rispettivi organi elettivi già in carica».
Questo significa, in poche parole, che palazzo Belgrado, nonostante sia ormai pressoché privo di reali competenze, non chiuderà i battenti prima del 2018, data in cui si concluderà ufficialmente il secondo mandato del presidente Pietro Fontanini.
Discorso diverso, invece, per Trieste, Gorizia e Pordenone. Questi tre enti sono già andati a scadenza naturale – anche se per Trieste e Gorizia la giunta Serracchiani ha deciso di posticipare l’invio di un commissario ad hoc al 1º dicembre – e dunque verranno abolite formalmente nel momento in cui il Consiglio approverà la legge che sopprime definitivamente gli enti intermedi.
Dal nuovo Statuto, inoltre, non scompare il “vetusto” Circondario di Pordenone che secondo alcuni parlamentari della Destra Tagliamento salvaguarderebbe il decentramento, nell’ambito del territorio dell'ex Provincia, di alcune funzioni statali, anche se più di qualche dem lo giudica come una semplice concessione formale «priva di qualsivoglia effetto concreto».
Al di là del reale “valore” del Circondario, resta il fatto che il Fvg taglia per primo il traguardo della soppressione delle Province. Un traguardo che, per assicurazione del capogruppo alla Camera del Pd Ettore Rosato, non sarà vanificato nemmeno in caso di bocciatura del referendum costituzionale di ottobre considerato come «la nostra Regione ha potestà primaria in materia di enti locali e, quindi, continuerebbe a mantenere un’architettura istituzionale priva degli enti intermedi».
Contemporaneamente alla cancellazione delle Province, inoltre, il testo varato dal Parlamento permette al nuovo Statuto di incrociare la legge regionale sulle Uti fortemente voluta dalla maggioranza di centrosinistra. Il “vecchio” articolo 11 è stato sostituito dalla dicitura che prevede come «i Comuni anche nella forma di Città metropolitane, sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze».
Non soltanto, però, perché il comma due è ancora più preciso specificando che «in attuazione dei principi di adeguatezza, sussidiarietà e differenziazione, la legge regionale disciplina le forme, anche obbligatorie, di esercizio delle funzioni conferite». Fuor di metafora, quindi, il testo collima con l’essenza stessa della riforma sugli enti locali delle Uti che, in questi mesi, ha scatenato un mare di polemiche, ricorsi e portato pure a una sentenza del Tar del Fvg.
La Carta d’Autonomia, poi, interviene anche sul cosiddetto elettorato passivo, cioè sui requisiti necessari per potersi candidare alle elezioni regionali. Camera e Senato, entrando nel dettaglio, hanno cancellato il limite fissato a 25 anni – che durava dal 1963 –, ancorandolo alla semplice maggiore età e quindi permettendo a tutti di correre per piazza Oberdan al compimento del loro diciottesimo anno. Tra le ulteriori novità, inoltre, non va dimenticato l’abbassamento del “quorum” per la presentazione di proposte di legge di iniziativa popolare. Se fino a ieri, infatti, era necessario raccogliere almeno 15 firme a sostegno, da oggi ne basteranno 5 mila per proporre all’Aula di Trieste un testo specifico.
Resta, infine, l’ipotesi di costituire le Città metropolitane, in virtù di un emendamento inserito nel testo dal senatore triestino Francesco Russo al momento della discussione a palazzo Madama, nonostante l’opposizione del Consiglio regionale e della stessa presidente Serracchiani.
Attenzione, però, perché si tratta di una chance, non di un vincolo visto che – richiamando ancora una volta la competenza primaria della Regione in termine di enti locali – dovrà casomai essere l’Aula a deciderne la loro istituzione richiesta soprattutto da alcuni ambienti triestini e fortemente osteggiata dall’area friulanista della politica locale.
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