Addio a Mauro Quai: giornalista di Susans di Majano con la musica del cuore

Aveva 71 anni. Collaborò con il Messaggero Veneto.  Fu uno dei fondatori della Fieste di Chenti, poi Folkest. I funerali giovedì 16 gennaio

Nicola Cossar
Mauro Quai nella foto a destra e tra Marco Miconi, presidente del Folk club, e il cantautore Lino Straulino
Mauro Quai nella foto a destra e tra Marco Miconi, presidente del Folk club, e il cantautore Lino Straulino

Era un “loner”, parafrasando il nostro amato Neil Young, un cuore generoso e indifeso perso nell’abbraccio della solitudine. Ma tutti dobbiamo qualcosa a Mauro Quai, spentosi a 71 anni nella sua Susans di Majano. Molto gli dobbiamo anche noi del Messaggero Veneto di un tempo, quando con Giuliano Almerigogna e Renato della Torre formava un impareggiabile tridente di critici musicali. Un tridente che adesso continuerà a scrivere di concerti nel grande Altrove.

Mauro aveva la musica nel cuore e cercava sempre di scavare nei solchi dei dischi, nelle storie, nei testi e nei concerti per poi restituirci ritratti splendidi di artisti che magari conoscevamo ancora poco ma che puntualmente, grazie al suo straordinario fiuto, sarebbero diventati grandi.

Mi vengono in mente Eric Andersen, Suzanne Vega, Noa, Tony Maude, il nostro Lino Straulino (fu il primo a scriverne ai tempi di “Spin”) e la nuova musica friulana che si stava facendo largo.

Non solo li raccontò, ma spesso ne organizzò le date, fu uno dei fondatori della Fieste di Chenti, poi diventata Folkest, con cui collaborò a lungo, oltre che con il Folk Club e con la Nota di Valter Colle, contribuendo alla diffusione di un pensiero musicale non banale, non massificato, riservato eppure incisivo e soprattutto di qualità.

Come spesso accade, era più conosciuto fuori dal Friuli che a casa propria. Prima di accettare la “corte” del Messaggero Veneto, infatti, Mauro scriveva abitualmente – fin dal numero 1 nel 1977 – sul Mucchio Selvaggio, e poi sul Buscadero, su Late for the sky e sul Folk Bulletin, riviste di riferimento del nostro mondo musicale in Italia.

Aldo Pedron, fondatore sia del Mucchio sia del Buscadero, ricorda con affetto le lunghe chiacchierate al telefono e aggiunge: «Non ha mai voluto usare il computer. Scriveva su una piccola macchina che aveva i caratteri corsivi, a volte anche a mano e poi spediva con busta e francobolli. Viveva al di fuori del tempo. Eppure non conosco nessuno che ne sapesse di cantautorato americano (e non solo) come lui».

Affettuoso anche il ricordo di Max Stefani, che con Aldo e Paolo Carù diede vita a un’autentica svolta nella critica e nella narrazione musicale in Italia. Max lo chiamava simpaticamente “montanaro”, quasi a definirne il carattere riservato, i lunghi silenzi, assieme all’inestinguibile passione per la musica.

Ecco la sua eredità: la passione, quasi una fede, che traspariva – assieme a un’immensa conoscenza – in ogni riga dei suoi articoli. Un’amica vera e fedele, la musica, l’unica amica a non averlo mai abbandonato nel cammino non facile della sua esistenza.

Ecco il “grazie” che gli diremo giovedì 16 gennaio dandogli l’ultimo saluto, alle 15, nel cimitero di Majano e più tardi nella chiesa della sua Susans. 

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto