Addio Debora, nel Pd è è il momento di Bolzonello

Un dato politico, anzi uno e mezzo, da domenica quantomeno ce lo abbiamo in questo lungo percorso che ci separa dalle elezioni Politiche e Regionali (senza dimenticare le Comunali di Udine) della prossima primavera: Debora Serracchiani non si ricandiderà alla presidenza del Fvg.
Non una grande notizia si dirà, peraltro a ragione, visto che nei corridoi di Palazzo in fondo lo si mormorava, pur a bassa voce, da tempo. Ma una cosa sono i rumors, un’altra l’ufficializzazione. E con l’addio di Serracchiani – destinata a un seggio parlamentare a Roma – a centrosinistra si spalancano le porte per Sergio Bolzonello. Certo, bisognerà aspettare che termini la finestra temporale per le eventuali primarie, ma onestamente la strada sembra ormai tracciata perché, come ha detto un dem di peso nazionale, semplicemente «la partita è chiusa».
Chiusa per quanto riguarda il Pd, ma non per tutti visto che il vicepresidente avrà il non facile compito di provare a costruire una coalizione larga e non limitata esclusivamente ai Cittadini – civica che dopo un iniziale sbandamento di Bruno Malattia si è allineata – una specie di Campo progressista in salsa locale con a capo Furio Honsell e, con ogni probabilità, una lista ex novo in cui piantare l’anima al centro. Carlo Pegorer e con lui Mdp, infatti, non ne vuole sapere di Bolzonello e lo stesso dicasi per gli altri cespugli di “sinistra sinistra” che portano a Si di Marco Duriavig e ai civatiani di Possibile. Prospettive? Il vicepresidente ci proverà fino all’ultimo – quantomeno per non farsi descrivere come colui cui è rimasto il cerino in mano –, ma intanto ha già regalato una bozza di idea della campagna elettorale che ha intenzione di imbastire.
Da qui, infatti, entro il 3 dicembre – ma già a metà della prossima settimana i testi arriveranno in Parlamento per un parere comunque non vincolante – dovranno uscire i collegi elettorali per Camera e Senato. Stando a quanto è filtrato in questi giorni, non paiono esserci novità di sorta – anche se visto il precedente dell’Italicum, i cui collegi vennero modificati prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale inglobando la Bassa Friulana con Gorizia e Trieste, è sempre meglio predicare prudenza – per quanto riguarda il Fvg.
La Regione, nel dettaglio, dovrebbe essere divisa in cinque collegi uninominali per la Camera – applicando a Montecitorio i “vecchi” criteri del Mattarellum validi per il Senato – e in due per palazzo Madama. Per quanto riguarda la quota proporzionale, inoltre, si va verso la definizione di due maxi-collegi – uno alla Camera e uno al Senato – che inglobano tutta la Regione con listini bloccati da quattro nomi. Una soluzione dettata dalla popolazione limitata del Fvg – appena 1,2 milioni di persone – e anche dalla possibilità inserita in legge del recupero dei migliori perdenti all’uninominale in caso di necessità. Cioè se un partito dovesse esaurire il listino bloccato – eventualità non remota in caso di pluricandidature anche se forse più in altre regioni che in Fvg –, la commissione elettorale nazionale “ripescherebbe” il candidato di quella lista, oppure di quella coalizione, meglio piazzato tra i non vincenti al maggioritario nella stessa circoscrizione.
Partita, questa, che interessa tutti, ma in particolar modo – limitandoci all’ultima settimana – Renzo Tondo. Il presidente di Autonomia responsabile, infatti, è “volato” a Roma per la riunione organizzata da Raffaele Fitto, alleato e sponda romana dell’ex presidente da mesi, con i parlamentari italiani ed europei oltre alle delegazioni delle regioni tra cui, appunto, quella guidata da Tondo. L’ex ministro ha riferito, in particolare, sulla benedizione ottenuta da Berlusconi in relazione al processo che dovrà portare alla realizzazione di quella “quarta gamba” per Camera e Senato formata da Direzione Italia, l’Udc di Lorenzo Cesa, la nuova Dc di Gianfranco Rotondi, quasi sicuramente Idea di Gaetano Quagliariello e forse Ap considerato il pressing che si sta sviluppando attorno a Maurizio Lupi per convincere gli (ex?) alfaniani a non correre in solitaria alle Politiche vista la non facile quota del 3% come soglia di sbarramento.
La strategia del Cavaliere, d’altronde, è chiara e – volgarmente – punta a portare in alleanza tutti coloro che lo possono aiutare ad avvicinare la coalizione a quella quota del 38% ritenuta come soglia minima per poter governare il Paese in autonomia. Uno schema in cui si inserisce perfettamente il ruolo di Tondo, di fatto l’unico al Nord a poter mettere a disposizione un movimento strutturato, conosciuto e che ha dimostrato di saper intercettare fette non banali di consenso. È evidente, quindi, che se Fitto vuole trasformare Direzione Italia in un partito nazionale, non può rinunciare a Tondo. E in questo senso, nella logica di spartizione delle candidature, l’ex governatore potrebbe davvero ottenere un suo “posto al sole” perché è chiaro che qualcosa, a questa “quarta gamba”, dovrà pur essere concesso anche se andrà definito a chi mettere in conto, nella coalizione, il numero di collegi ceduti. E allora pensare che in Fvg Tondo venga schierato Tondo in un uninominale – magari sfidando Serracchiani se si candiderà in un collegio – oppure da capolista al proporzionale non pare essere fantascienza politica.
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