Adunata de L'Aquila, l'organizzazione: Pordenone "star"
«Quando lessi le lettere al commilitone analfabeta»

INVIATO ALL’AQUILA. «L’Aquila è viva, grazie alpini!». Dieci ore è durata la sfilata delle penne nere. «6 aprile 2009 - maggio 2015, siamo ancora tutti qui...», lo striscione più applaudito.
Erano in più di 8 mila nei mesi successivi al terremoto, centinaia da Pordenone, e sono tornati per portare alla popolazione l’affetto e il calore tipico degli alpini.
«Fa piacere che siamo stati citati a modello organizzativo, vuol dire che il Coa ha lavorato bene e sul serio – tira le somme il sindaco Claudio Pedrotti al rientro con l’assessore Bruno Zille –. A L’Aquila l’ultima giornata è stata emozionante: la sfilata e l’entusiasmo della gente fanno dimenticare qualsiasi cosa, anche le pecche. Teniamo conto del contesto, è un’attenuante».
Gli aquilani «avevano bisogno di un segnale forte che gli alpini hanno dato. Ora tocca a loro mantenere un grande spirito di determinazione. Ho visto la città ferita: ci andrei piano a dire che si sarebbe potuto fare molto di più, davanti a tanti vincoli».
Pedrotti ha incontrato diversi “colleghi”: Bolzano, Piacenza e L’Aquila. «Quest’ultimo aveva bisogno di questa adunata per ricaricarsi».
Molti gli amministratori locali scesi in Abruzzo con i loro alpini. Francesca Papais, sindaco di Zoppola, affida il bilancio a Facebook: «Che emozioni indescrivibili. Marciare al passo del “Trentatrè” anche con il sole ha il suo fascino. Ho respirato profumo di solidarietà. Un magnifico fiume di polo blu ha invaso L’Aquila portando una spinta necessaria per ripartire».
Con le sue penne nere, Federica Della Rosa, alla prima adunata da sindaco di Chions: «Una giornata intensa e ricca di emozioni. Si ricordano gli alpini che hanno fatto nella storia, si ringraziano quelli che la stanno facendo, con la loro costante disponibilità generosa. Gente che non parla, fa. E ci tenevo a essere in una città ferita: credo sia stata l’occasione per vedere l’Italia migliore».
Ancora, i primi cittadini di Andrea Carli di Maniago, Oreste Vanin di Meduno e gli assessori: tra loro, Renzo Dolfi di Brugnera, Gianluca Coghetto di Frisanco e Fulvio Facchin di Cavasso Nuovo.
«E’ stata un’adunata un po’ diversa dal solito – tira le somme Valter Sedram, gruppo Ana La Comina –. Ho provato una forte emozione, davanti alla casa della gioventù. Mi veniva da piangere ogni volta che la gente ci fermava per dire grazie per l’adunata dell’anno scorso. In Italia hanno scoperto che ci siamo, eccome».
E’ tornato a L’Aquila dopo 49 anni, ovvero al tempo del Car, Alessio Colussi Mas, capogruppo di Brugnera, originario di Poffabro.
«All’epoca abitavo in montagna e la naia era la prima “uscita”. E’ un’esperienza che porterò per tutta la vita. Nessun famigliare al giuramento: non c’erano soldi per la trasferta, in casa si aveva solo una bicicletta. Al rientro, il trasferimento in pianura, a Maron. All’epoca la montagna cominciava a spopolarsi: o emigravi all’estero o cercavi posto nelle prime fabbriche. Il Mobilificio Martinel ci diede una casa in affitto e un lavoro. E qui sono rimasto, guardando il Monte Raut».
Lamenta «carenza di navette» al termine della sfilata Edoardo Pezzutti, di Fontanafredda: «E così, dopo due chilometri, ce ne siamo fatti altri quattro a piedi». Nota positiva: «Come a Pordenone, a L’Aquila i commercianti non hanno alzato i prezzi».
I valori degli alpini: uguaglianza, umiltà, amicizia. Edoardo Pezzutti racconta un aneddoto: «Servizio di leva. Salgo su una campagnola che mi porta sul Piccolo San Bernardo. Dopo giorni di intenso lavoro chiesi il permesso di potere andare, assieme alla mia squadra, a visitare un paesino. Con me c’erano tre piemontesi, due abruzzesi, due bergamaschi, un bellunese e un vicentino. Tolsi i gradi e li misi in tasca. Fuori, eravamo tutti uguali. Nei giorni successivi un alpino mi avvicinò. “Sergente - mi disse -, alcuni giorni fa lei si è tolto i gradi e ha detto che siamo tutti uguali. Oggi ho trovato il coraggio di chiederle se può leggermi questa lettera che non so chi mi abbia inviato perché ho sempre fatto il pastore e non so né leggere né scrivere”. A quel punto fui io a sentirmi in imbarazzo. Poi iniziai a leggere e il suo volto si rasserenò. Era una lettera della famiglia».
L’appuntamento diviene fisso. «Per tre mesi ci ritrovammo al monumento di piazza Chaneaux per leggere le missive. Una volta congedato chiesi a un compagno di proseguire, con riservatezza, la lettura al posto mio». Ecco cos’è la fratellanza alpina.
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