Agrusti, l'uomo che si è preso tutto: così un'intera generazione si reinventa e detiene (ancora) il potere

PORDENONE. A meno di un mese da Pordenonelegge 2020, nel bel mezzo di una pandemia e con tutte le incognite legate all’impatto del virus sul festival, la Fondazione annuncia, improvviso, il cambio di presidenza.
Lascia l'incarico per ragioni personali, in ossequio all’anagrafe, Giovanni Pavan, 75 anni, da 15 al timone della nave della cultura del più conosciuto festival del Noncello.
Aria nuova, si volta pagina: Michelangelo Agrusti, anni 67, il vice. Sì, quel Michelangelo Agrusti. Il presidente di Unindustria Pordenone prima e di Confindustria Alto Adriatico poi, di Fondazione Cro, Fondazione Its per Itc Kennedy, il già sindaco, parlamentare, esponente della commissione difesa della Nato, consulente di Zanussi, Electrolux, Seleco, Cimolai, imprenditore di Onda Communication, finita male, ispiratore del secondo capitolo della medesima azienda, in Austria, già presidente del polo tecnologico, ideatore ed editore del progetto televisivo “Il 13” a Pordenone e regista del recente patto con Triveneta per garantire il futuro dell’emittente.
E alla vicepresidenza della Fondazione, ora che Agrusti è salito di grado? Un giovane? Una donna? Un esponente del panorama culturale? No. Silvano Pascolo, anni 67, al timone di Confartigianato Pordenone dal 2004 (sì, 16 anni), a lungo in passato presidente, poi vice, poi di nuovo presidente di Interporto, presidente di Concentro (azienda speciale della Camera di commercio), con poltrone nel cda della Camera di commercio e in quello della Fiera.
Sempre loro. Ovunque. Prodotti di una generazione di ferro. All' in cui gli altri vanno in pensione, loro aprono nuovi capitoli di gestione del potere. Esperienza, agganci, conoscenze giuste nei salotti che contano, passione per la vita pubblica, la sua visibilità, i suoi vantaggi.
La si può vedere dalla parte dei protagonisti del meccanismo della stagnazione del potere e di un modo di gestirlo che ha attraversato gli anni Novanta, Duemila, Duemila e dieci e ora arriva al Duemila e venti con la pretesa di essere stato e di essere sempre il migliore, o quantomeno il migliore possibile.
Oppure la si può vedere mettendo al centro del dibattito tutte le persone che puntano l’indice contro i grandi vecchi e le loro nomine a cascata ma che a questa partita, nell’ex provincia della destra Tagliamento, dedicano poco più dell’indice in questione. Cervelli, risorse, sussulti di dignità, strategie innovative, a queste latitudini, determinano singole avventure di successo, o restano chiusi nei cassetti.
Così a Pordenone, da oltre trent’anni, la risposta al Jurassic Park delle categorie economiche è, in realtà, una domanda: «Se non loro, chi?». Chi si è fatto avanti, a cavallo fra due secoli, con progetti concreti, ambizione, capacità e un seguito che non fosse un’armata Brancaleone?
Al netto del riconosciuto impegno per il territorio di Tiziana Gibelli, Pordenone oggi ha un solo assessore regionale nato e vissuto in provincia. Di Spilimbergo, all’agricoltura. In città, dopo quattro anni e mezzo di amministrazione Ciriani, l’opposizione, di tutti gli schieramenti, ha sinora saputo solo puntare l’indice (già, ancora quello), senza tirar fuori uno straccio di candidato alternativo che sia uno. La Camera di commercio, nel frattempo, è stata assorbita da Udine, la Fiera, che funziona bene, è al centro di manovre aggregative, l’Università, che in riva al Noncello ancora non decolla, resta saldamente in mano a Udine e Trieste.
Il Friuli occidentale è sempre più privo di riferimenti, sempre più vaso di coccio nel romanzo di una regione che si snoda su altre trame e altri protagonisti. E, quel che è peggio, invece di produrre leader e strategie, continua a eruttare lamenti. Avvolgendosi su se stesso giorno dopo giorno, cronaca dopo cronaca. Tanto che se apri un giornale di quando c’erano le lire, il telefonino più evoluto era un Motorola StarTac, Prodi diventava presidente del Consiglio e a Venezia veniva dichiarata l’indipendenza della Padania da Umberto Bossi i nomi, ai vertice delle categorie economiche i nomi erano sempre quelli: Agrusti, Pascolo e Pavan, che oggi saluta.
Benvenuta cultura, dunque. Dopo politica, economia, sanità e scuola, nell’elenco mancavi solo tu.
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto