Albergo fantasma In fumo un milione

Sprechi pubblici: ecco un altro esempio alle porte di Grado. Dove la Regione “investì” 12 anni fa ora degrado e rovine
Bonaventura Monfalcone-14.05.2012 Caneo-Fossalon-Grado-foto di Katia Bonaventura
Bonaventura Monfalcone-14.05.2012 Caneo-Fossalon-Grado-foto di Katia Bonaventura

GRADO. Quattro miliardi di ex lire. Quattro miliardi, due di denaro pubblico, due dei privati, finiti in fumo. Sono stati investiti nei primi anni Duemila all’estremità di una lingua di terra incantevole a un tiro di schioppo da Fossalon. Un luogo magico: il “Caneo”, situato all’interno del parco dell’Isonzo, circa 2.400 ettari che ospitano 300 specie di uccelli di cui 80 nidificanti. Quattro miliardi di ex lire per costruire un osservatorio-foresteria. Il progetto prevedeva «la realizzazione di opere di riqualificazione e valorizzazione ambientale di iniziativa privata per la costruzione di strutture connesse e necessarie alla fruizione e gestione naturalistica dell’area».

Detto e fatto: la struttura è sorta come un fungo a tempo di record con la benedizione della Regione Fvg che si è fatta un baffo del fortissimo, legittimo dissenso del Comune di Grado, guidato allora dal sindaco Roberto Marin, al suo primo mandato da sindaco, alla guida di una maggioranza di centro-destra tradita inesorabilmente dal fuoco amico della Giunta-Antonione. Oggi, quell’osservatorio-foresteria, su cui campeggia la scritta “Albergo-ristorante-bar” è un edificio fatiscente, una sorta di fortino abbandonato senza più nemmeno il tenente Drogo ad avvertire dell’arrivo di turisti. Era stato inaugurato nel 2003. Un paio di gestioni, pochi arrivi, nessun progetto vero. E la fine inevitabile nel 2007. Quattro miliardi in fumo per una struttura mai decollata e che oggi, pare, bussa a qualche privato cimentandosi in qualche improbabile asta.

Il “Caneo” si affaccia sull’Isonzo. Dall’altra parte c’è l’isola della Cona (nel Comune di Staranzano) dove alcuni cavalli bianchi vivono selvaggiamente ancora liberi. Ad alcune centinaia di metri dall’Osservatorio c’è il villaggio di punta Sdobba, una trentina di case ancora alla prese con il tormentone-eternit e che sorgono su area comunale. Un sito di importanza comunitaria e un riserva naturale come cita uno dei tabelloni didattici all’esterno dell’Osservatorio-foresteria ormai graffiato e sbiadito dall’incuria e dall’abbandono. Erano tutti beni dell’Opera fascista prima della bonifica e del passaggio di mano all’Ente Tre Venezia prima di essere definitivamente appetiti dai privati.

Ed è uno di questi, l’impresa Bidoli Diego, che nell’ottobre del 1999 presenta al Comune di Grado una richiesta di concessione edilizia, la costruzione cioè di «un fabbricato destinato all’accoglimento degli escursionisti e contenente locali di foresteria, un bar, un ristorante e un centro visitatori, il tutto volto al’educazione ambientale e alla fruizione naturale della riserva. Tale fabbricato – si legge in un pro-memoria dell’amministrazione comunale di Grado – sarà realizzato su palafitte, si svilupperà su due livelli fuori terra per una superficie di circa 560 mq e un volume di circa 3.250 mc.».

Ma il progetto è ancora più ambizioso. E parla – tra le altre cose – «di interventi di riqualificazione del territorio per il miglioramento della biodiversità». In Comune, a Grado, strabuzzano gli occhi. Ma come? Non possiamo toccare neppure un chiodo nel villaggio di Punta Sdobba senza ottenere le scomuniche e i “niet” della Soprintendenza – è il coro degli amministratori – e qui si pretende di costruire una struttura in una zona di competenza comunale che soggiace al vigente Prgc nel quale «è prevista la sola manutenzione ordinaria delle preesistenze». Insomma, un progetto difforme – tuona il Comune di Grado – alle prescrizioni comunali in un’area di vincolo ambientale con assoluto divieto all’edificazione.

Il diniego è secco e viene motivato ai vertici della Regione Fvg. Per tutta risposta – ricorda l’ex sindaco Marin – riceviamo una diffida per danni eventuali provocati per la rinuncia al contributo Ue di cui la Regione è garante. E la Regione, che non ha potere di concessione edilizia, pesca dal cappello l’ineffabile soluzione per zittire il Comune, introducendo un articolo alla norma 42/1996 che autorizza interventi per opere di interesse generale anche nelle aree di vincolo ambientale». Chapeau...!

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