Allarme zecche, i primi casi di infezione già in inverno

TOLMEZZO. Quattro casi di Tbe e quasi duemila casi di sindrome di Lyme. L’allarme zecche quest’anno si fa sentire in maniera più forte, anche perché ai dati regionali riferiti allo scorso anno si affiancano alcune decine di casi di persone che hanno sviluppato un eritema migrante (i primi segni della malattia di Lyme) già fra gennaio e febbraio di quest’anno. Un’anomalia dovuta all’andamento climatico: di norma, i casi di malattia si manifestano fra giugno e luglio e fra ottobre e novembre, ma le miti temperature hanno reso attive le zecche anche durante l’inverno.
L’Aas3 Alto Friuli Collinare Medio Friuli, quindi, corre ai ripari e punta sulla prevenzione. «Abbiamo rinnovato la convenzione con l’Asui di Trieste per prestazioni di consulenza in materia di prevenzione, sorveglianza diagnostica della terapia di Lyme» anticipa il vicecommissario straordinario Maurizio Andreatti. «Puntiamo molto sulla prevenzione – prosegue il commissario – sia attraverso le vaccinazioni, sia attraverso l’adozione di precauzioni per chi va in montagna».
E proprio grazie al ricorso alle vaccinazioni distribuite gratuitamente ai residenti il numero di casi di Tbe è rapidamente crollato.
«Sulla Tbe – spiega il professor Maurizio Ruscio ,che dal 1984 si occupa delle patologie trasmesse dalle zecche – la politica di prevenzione adottata dalla nostra regione, l’unica in Europa che fornisce la vaccinazione gratuita, il numero dei casi è sceso: dal 2000 al 2013 ce ne sono stati 104, successivamente si è scesi a 2 o 4 casi all’anno».
Per quanto riguarda la diffusione, le zone più colpite sono quella della Valcanale, della Carnia e, in particolare, di Forni Avoltri, oltre alla montagna pordenonese, qualche caso sporadico nel Cividalese o in provincia di Trieste.
Molto più generalizzata sul territorio la casistica per la sindrome di Lyme.
Oltre alle garanzie di copertura date dal vaccino – tutti e quattro i casi di Tbe registrati nei mesi scorsi facevano capo a persone non vaccinate – molto dipende dalle precauzioni che possono essere adottate da chi va in montagna.
«La prevenzione è sempre il primo passo per evitare le conseguenze dei morsi di zecca in montagna – sottolinea Ruscio –. Chi va nei boschi alla ricerca di asparagi, funghi o frutti di bosco, oppure fa trekking, soprattutto quando l’erba è alta, è bene che utilizzi un vestiario adatto per coprire il corpo il più possibile e usi repellenti. Comunque, al rientro dalle escursioni è bene esaminare la cute ed eliminare eventuali parassiti.
Fino a qualche anno fa – aggiunge Ruscio – si diceva che rimuovendo i parassiti entro 48 ore si riduceva in tutto o in parte il rischio di insorgenza dell’infezione, ma i recenti studi dimostrano che alcuni ceppi di borrelia hanno comportamenti diversi e possono trasmettere l’infezione dopo poche ore.
Qualora, dopo aver asportato la zecca compaia un arrossamento o si manifestino episodi febbrili entro due settimane dal morso, bisogna rivolgersi al medico per fare accertamenti. Non è il caso, comunque, di utilizzare gli esami di laboratorio in modo indiscriminato, meglio usarli solo per confermare sospetti clinici: molti pazienti positivi al test di laboratorio, infatti, non si ammalano».
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