Allevatori alla canna del gas: in un anno chiuse 56 stalle

Sotto accusa il prezzo sempre più basso del latte, arrivato a 34 centesimi al litro. L’appello del direttore dell’associazione Lugo alla Regione: servono incentivi

CODROIPO. E’ un bel dire che il latte prodotto in Friuli Venezia Giulia in termini di qualità è il migliore d’Italia. Magra consolazione per gli allevatori nostrani che devono fare i conti con un pagamento del litro alla stalla in caduta libera ormai da molto tempo. Insufficiente a coprire i sostenuti costi di produzione e ad ammortizzare gli investimenti sugli impianti.

Che il settore sia alla canna del gas lo raccontano efficacemente i numeri, severi, delle stalle che anche nel 2014 sono state costrette a chiudere. Ben 56, il 5% sulle circa mille ancora in attività, con una perdita occupazionale di circa 100 posti di lavoro.

L’emorragia va avanti ormai da tempo. Inarrestabile. Basti pensare che appena qualche decina di anni fa le aziende votate alle bovine da latte erano in regione ben 15.000. Oggi sono un migliaio.

E a meno di un’inversione di tendenza, nell’arco del prossimo decennio il settore rischia d’essere spazzato via. Ieri, al quartier generale dell’associazione regionale allevatori Fvg, in occasione dell’assemblea annuale, il presidente del sodalizio, Renzo Livoni, lo ha detto senza troppi giri di parole. Denunciando ancora una volta le difficoltà del settore, che promettono di tradursi in “nuove chiusure nel 2015”. Colpa anzitutto dei prezzi, che per il numero uno degli allevatori rendono «l’attività insostenibile».

Dai 42-43 centesimi di euro pagati alle stalle per litro di latte all’alba del 2014, la discesa è stata costante. Ad aprile dell’anno scorso si incassavano già 40 centesimi, a novembre 37, oggi appena 34. «La fine delle regime delle quote non ha aiutato, agevolando anzi l’invasione del latte prodotto in paesi esteri», ha riferito ancora il presidente ieri, ricordando come oltre confine i competitor vantino prezzi di produzione nettamente più bassi di quelli degli allevatori friulgiuliani.

Se il latte fresco non è più remunerativo, non resta - alle imprese - che puntare sulla trasformazione. E in particolare sull’unica Dop del settore lattiero-caseario regionale: il Montasio. Occasione che gli allevatori hanno chiara da tempo, ma che stenta a decollare. Il prezzo è tra i più bassi d’Italia in fatto di dop. «Un chilo a due mesi - racconta ancora Livoni - costa oggi all’ingrosso da 4 euro e 80 a un massimo di 5 euro e 50. E’ qui che dobbiamo investire.

Facendo massa critica tra caseifici per conquistare mercati oltre i confini regionali e superare la risibile quota del 14% di latte trasformato in dop contro il 70% del Veneto». Parlando d’Europa, ieri ha tenuto banco l’ennesima cattiva notizia giunta dalla Commissione a Bruxelles che ha invitato l’Italia a consentire la produzione del formaggio con latte in polvere concentrato e ricostruito.

«Se pensiamo che il 70% del latte nazionale viene trasformato in formaggio si capisce bene che questa è l’ennesima batosta. Il contrario - attacca Livoni - di quanto andiamo chiedendo ormai da anni: poter etichettare i prodotti lattiero-caseari, al pari del latte fresco, perché il consumatore possa sapere che sta acquistando un prodotto italiano».

A questo punto, lo sguardo ieri si è rivolto alla Regione, «affinché sostenga gli allevatori, di bovine da latte così come i suinicoltori e gli avicunicoli, vittime a loro volta di una difficile situazione di crisi, al pari di quanto sta facendo con altri settori dell’agricoltura regionale (vedi il vino)».

A questo primo appello, Andrea Lugo, direttore dell’AaFvg, ne ha fatto seguire un secondo. Esplicitamente finanziario. Il sodalizio, che pure svolge attività di assistenza tecnica e di controllo funzionale importanti per gli allevatori e per la sicurezza alimentare dei consumatori, deve fare i conti con importanti ridimensionamenti dei contributi pubblici. Passati nel 2013 da 2,7 milioni a 2,2.

Nonostante il taglio di 500 mila euro, «l’anno passato è stato possibile sfiorare il pareggio di bilancio (mancato per appena 19 mila euro) grazie alla riduzione dei costi di gestione, agendo soprattutto sulla forza lavoro e riorganizzando i servizi. Ora però - ha concluso Lugo - siamo al capolinea: o tagliamo qualche attività o chiediamo l’ennesimo, insostenibile, sforzo ai nostri soci ritoccando al rialzo le quote».

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