Amareggiato e chiuso nel silenzio, Tondo lavora dietro il bancone

«Non intendo parlare né delle indagini né di come mi sento,al magistrato ho già spiegato». L’ex governatore ieri nel suo locale a Chiaulis di Verzegnis. Il telefono squilla, ma lui non risponde

VERZEGNIS. Spina birre, serve tagli e prepara ottimi panini al prosciutto crudo Renzo Tondo, nel suo locale di Chiaulis. Entra ed esce, si siede sulla panchina dove con due amici parla di tutto fuorché dell’ultima novità. Anche con chi lo va a trovare per una chiacchierata di lavoro sfodera un umore da leone ferito. «Non parlo, non voglio frasi virgolettate sul giornale», dice facendo capire d’essere stato trattato dalla stampa come un assassino da sbattere in prima pagina a sei colonne.

«Sono amareggiato e non intendo parlare né dell’inchiesta né di come mi sento. Al magistrato ho risposto già e lo farò ancora, se sarà necessario», aggiunge l’ex governatore.

Al Fogolar arrivano i paesani alla spicciolata, per il taglio o la birretta prima del pranzo. Qualche operaio parcheggia nella piazzetta davanti al locale, tra via Udine e via Privata, dove si affaccia una splendida casa d’epoca ristrutturata. Seduto sulla panchina nel sottoportico del suo locale, Renzo Tondo guarda verso uno spicchio di bosco su una montagnetta dietro le case: «Qui si respira una buona aria», dice.

Nulla lo convince a parlare di “altro”, magari per sfogarsi, per spiegare. Si sente addirittura minacciato dalle domande più semplici.

Jeans e camicia chiara, con le maniche rimboccate, Tondo torna dietro il bancone appena un cliente entra nel locale. Il panino, la bibita e i pezzetti di formaggio li offre, il caffè invece lo prende anche lui e se lo fa offrire, dopo averlo preparato personalmente con le sue mani. Incassa, dà il resto e lo scontrino, quasi a voler salutare. È il suo lavoro. L’ha sempre detto con un certo vanto prima e dopo le tante elezioni che nella sua carriera politica ha saputo vincere o perdere.

Il giorno dopo l’interrogatorio, con il giornale che titola a pieno su di lui, Tondo non risponde neanche alle telefonate. Il suo cellulare vibra in continuazione, rischia persino di cadere dal tavolino dov’è appoggiato, emette a ripetizione gli squilli degli sms: lui li legge, ad alcuni risponde e capisce comunque che il giorno dopo si parlerà ancora di lui e dell’inchiesta. Ma allora perché non parlare? Perché non spiegare? Lui che questa regione ha guidato, non è un indagato qualsiasi, indipendentemente dalle ipotesi di reato. Ma insistere è inutile e chi entra al Fogolar non è certo interessato a cosa scrivono i giornali su di lui.

Inutile anche cercare o telefonare al suo avvocato. In studio parte la segreteria telefonica, il cellulare squilla a vuoto. Ognuno si difende come meglio crede, allora.

«Questa volta l’avete proprio fatto arrabbiare», chiosa uno dei suoi amici prima di salutare e andarsene pure lui.

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