Amore e guerraal tempo del Biafra

di Paolo Medeossi
Donne protagoniste, in continenti diversi, in secoli diversi, con tutta la carica della loro rabbia e intelligenza. Così vuole essere pure questa pagina nata casualmente andando a sondare i fatti culturali del giorno qui in Friuli, ma che alla fine trova un filo conduttore unico. A partire dalla presenza di una giovane e già straordinaria scrittrice, Chimamanda Ngozi Adichie, nata nella parte sud-orientale di Nigeria che durante gli anni Sessanta tentò la secessione in nome d’uno Stato chiamato Biafra. Un sogno infranto, uno dei tanti lungo il cammino africano. Storie però da non dimenticare.
«Il Biafra è una terra di geni», dice a un certo punto Special Julius. E Osanna, con stampata in viso un’espressione fugace, sospesa fra sorriso e riso, ripete: «Siamo la terra dei geni!». A parlare sono i personaggi d’un romanzo bellissimo, scritto da una intellettuale che fa parte di quella nuova generazione di narratori africani che frequenta il mondo universitario e letterario nordamericano. Si chiama appunto Chimamanda Ngozi Adichie, è nata nel 1977 e ha vinto il Premio internazionale Nonino 2009, che le sarà consegnato sabato mattina a Ronchi di Percoto. Probabilmente è la più giovane di tutti ad aver ottenuto finora questo prestigioso riconoscimento friulano e internazionale, giunto alla sua edizione numero 34.
La storia che narra nel libro,
Metà di un sole giallo
(Einaudi, 450 pagine, 19,50 euro), evoca scenari che dicono ancora molto a chi ha qualche annetto e la memoria buona. Il Biafra ricorda infatti una delle emergenze umanitarie più tragiche che abbiano colpito l’Africa, continente dove si susseguono tuttora catastrofici conflitti che finiscono però quasi sempre nel silenzio e nella completa indifferenza del mondo. Non fu del tutto così per il Biafra, almeno a livello di mobilitazione popolare – visto che i governi non si mossero - per poter dare un aiuto a chi dovette subire la fame brandita come arma di guerra.
Tutto accadde fra il 1967 e il 1970 quando il fragilissimo equilibrio etnico e religioso su cui si reggeva l’indipendenza nigeriana, ottenuta nel 1960, si ruppe sotto la spinta dei forti interessi legati ai giacimenti petroliferi, che scatenarono la tremenda guerra civile fra il nord degli yoruba, in maggioranza musulmano, e il sud, cristiano, più evoluto, abitato dagli igbo (o ibo). Il sogno di secessione era appunto il Biafra, la nascita di uno stato autonomo che prendeva il nome dal golfo su cui si affacciava quella terra. Furono tre anni di massacri, di scontri durissimi, di embargo pesantissimo che causò alla fine la resa del Biafra dopo la morte di almeno un milione di igbo. Una ferita enorme, che resta ancora aperta nella realtà storica e sociale della Nigeria, dove l’argomento è sempre controverso, anche perché rimane irrisolto il rapporto-scontro fra le religioni, con chiusure fondamentaliste da parte dei musulmani come dei cristiani.
In una situazione complessa come questa si è inserito il romanzo di Chimamanda, nata sette anni dopo la fine della guerra civile, nella quale la sua famiglia ha subito perdite gravissime con la morte dei nonni, di altri parenti, degli amici. Lei dunque, con una efficacia rispettata assolutamente nella traduzione in italiano, narra ciò che ha sentito raccontare da sempre, fin da piccola, e lo fa con assoluta libertà, senza condizionamenti, come personaggio di spicco appunto in una nuova e interessante letteratura africana. Il padre insegna statistica all’università di Nsukka (la città che è anche centrale negli eventi del libro), lei invece ha studiato medicina in Inghilterra, antropologia e scienze politiche in America e ha insegnato a Princeton creative writing.
Metà di un sole giallo
(che è già stato un best seller negli Stati Uniti) prende spunto per il titolo dalla bandiera del Biafra e si propone come un intenso, coinvolgente romanzo d’amore e di guerra la cui vicenda si snoda attraverso il vissuto di due sorelle igbo, diversissime tra loro: una d’una bellezza abbagliante, intellettuale, destinata a una carriera universitaria, l’altra intelligente, ma meno appariscente, cui il futuro riserva il compito di mandare avanti le industrie del padre, ricchissimo. Entrambe sono protagoniste di storie affettive un po’ particolari. La prima, Osanna, si innamora di un professore bizzarro, Odenigbo, di idee socialiste, le cui certezze rivoluzionarie si frantumeranno però a poco a poco nel fragore e nella crudeltà della guerra. L’altra, Kainene, si lega a un inglese, Richard, scrittore dagli scarsi esiti, una sorta di timido relitto di quel colonialismo che ha ridotto la Nigeria e l’Africa nelle condizioni del ’67 e di adesso. Richard si riscatterà scrivendo reportage su quello che vede in Biafra, ma che nessuno in Europa alla fine gli pubblica.
Gli altri personaggi di contorno assumono sempre ruoli notevoli nella costruzione sapiente dell’affresco che gradualmente conduce il lettore dentro il tunnel delle stragi e degli odii. Commovente la figura di Ugwo, il servo fedelissimo di Osanna e Odenigbo, che finisce suo malgrado arruolato nell’esercito biafrano, dominato a un certo punto da mercenari brutali e alcolizzati e da ragazzini drogati. Coinvolto nella follia collettiva, anche Ugwo, il più innocente di tutti, si trova protagonista e colpevole in uno stupro da branco.
Ma il personaggio di maggiore spessore è quello che evoca un grande poeta, Christopher Okigbo, morto combattendo per la causa del Biafra dopo essersi arruolato da volontario. Nel libro si chiama Okeoma, beve sempre la Fanta, legge le sue poesie a voce alta e gli amici lo fissano incantati trattenendo il respiro. «Sei la voce della nostra generazione» gli dice il professor Odenigbo.
Questi, dunque, sono la cornice e il significato del libro, da leggere assolutamente, ma sarà ancora più interessante conoscere e ascoltare Chimamanda nei suoi giorni friulani, a Percoto, per capire come si evolverà adesso la sua letteratura di ricerca storica e culturale su temi difficili, tragici, remoti, eppure a noi adesso più comprensibili.
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