Anatomia di una sconfitta ancor prima del riconteggio

La coalizione ha perso il referendum sui cinque anni di governo regionale. Il nemico numero 1 non era Galluccio. Servono idee e linguaggi nuovi

Non evocatelo nemmeno: richiedere il riconteggio, oggi, assume i contorni grotteschi di una classe dirigente incapace di capire che cosa è successo nelle urne domenica e lunedì. Il centrodestra ha perso. Senza se e senza ma, perché in un contesto politico come quello con cui ci siamo presentati al voto, l’alleanza Pdl-Lega-Udc avrebbe dovuto vincere con almeno 4/5 punti percentuali di vantaggio. Il dato nazionale e l’andamento degli schieramenti parlano molto chiaro: lo stallo sulla formazione del nuovo governo e le inversioni a U sull’elezione del presidente della Repubblica hanno danneggiato e non poco il centrosinistra, tanto da minare il futuro prossimo del maggiore partito della sinistra.

Le Regionali

Il voto alle regionali è un voto anche e soprattutto politico e, in questo scenario, i tre poli partivano dai blocchi di partenza con dei profili abbastanza chiari. In Friuli Venezia Giulia il voto politico dei grillini si fermava attorno al 26%, quello del centrosinistra faceva poco meglio attestandosi al 28% mentre il centrodestra allungava al 32% che diventa un lusinghiero 34% con l’aggiunta dell’Udc. Le differenze nei risultati rispetto a questi dati si chiamano appeal del candidato presidente e comportamento degli elettori che nei tre blocchi non trovavano una loro rappresentanza (Scelta Civica, Fare per Fermare il Declino, Ingroia). Ma perché Tondo ha perso nonostante questo vantaggio e, soprattutto, cosa dice l’analisi del voto friulano? Provo a fare alcune ipotesi.

Uscita di insicurezza

L’elezione affrontata da uscente è sempre e comunque un referendum sui cinque anni precedenti. Il centrodestra ha perso quel referendum 39 (la cifra elettorale di Tondo) a 61 (la cifra elettorale delle alternative). E la débâcle ha una sua rappresentazione plastica nell’analisi di cosa accade tra gli assessori uscenti: De Anna dimezza le sue preferenze, Violino cala sensibilmente, Seganti nemmeno viene rieletta, Savino, Brandi e Molinaro non sono proprio della partita. Solo Ciriani e soprattutto Riccardi ottengono risultati degni di tal nome ma qui pesa, più dei cinque anni passati in giunta, la militanza di un voto ex aennino che non ha perso di vista i suoi riferimenti politici. Siccome non posso pensare che De Anna e Violino, per far due nomi, siano improvvisamente diventati incapaci di attrarre un consenso che hanno sempre avuto, occorre ritenere che anche loro siano stati penalizzati da un sentimento di sfiducia montante verso il governo uscente. L’astensione non è un alibi. È, anzi, un’aggravante: se per cinque anni sventoliamo la bandiera dell’autonomia speciale e poi i primi beneficiari di quella specialità (i cittadini) a votare non ci vanno, è chiaro che qualcosa non ha funzionato.

Funky Galluccio

I sintomi di un arretramento del M5S c’erano tutti. Un calo generalizzato a livello nazionale, la perdita di credibilità di un movimento costruito nel salotto di casa Casaleggio e incapace di uscire da lì, il dato delle altre tornate amministrative dove Grillo e soci dimezzavano sistematicamente i consensi. Eppure c’è qualcuno che ha convinto Tondo prima e Berlusconi poi che il nemico numero uno fosse Galluccio. La campagna è diventata così completamente asimmetrica, con la Serracchiani molto presidenziale e il candidato del centrodestra alla rincorsa di un battistrada irraggiungibile perché inesistente.

Senza/Senso

Purtroppo le campagne elettorali hanno un loro peso. Contano poco quando il risultato è segnato ma sono capaci di fare danni incredibili quando la sfida è testa a testa. Non aver individuato l’avversario con cui correre è stato già un errore, forse rimediabile se la campagna elettorale del centrodestra avesse trovato una sua narrativa plausibile. Così non è stato. Anni a dibattere di autonomia responsabile, di specialità da difendere, di lotta contro il centralismo romano e poi lo slogan di Serracchiani è un efficace «Torniamo ad essere speciali» e il nostro un enigmistico «Con/Senso»? Perché? È una scelta che ha reso fumosa una contesa già difficile e che ha consegnato all’elettorato, a parti invertite, la sensazione già vissuta con la sfida Bersani/Berlusconi. Del centrodestra faccio fatica a ricordare un solo messaggio forte, mentre del centrosinistra ho ben presente i riferimenti alla cultura, al reddito di cittadinanza, alla specialità, al lavoro.

Deb 2.0, noi 0.2

E su come è stato veicolato il messaggio, due parole vanno spese. Serracchiani partiva con un vantaggio oggettivo, strutturale, endemico: avere una portata nazionale di quel tipo e un livello di penetrazione sulla rete così profondo rendeva sostanzialmente impossibile competere sui numeri. Si poteva – anzi: si doveva – elaborare una strategia chiara che fosse in grado di mettere in luce il profilo preferito dal presidente uscente: quello di un uomo schietto, restìo ai voli pindarici ma profondamente legato alla concretezza friulana. I profili twitter e facebook del presidente Tondo trasmettevano il segnale uguale e contrario: poco dialogo, molte frasi secche, a tratti la percezione di una vittoria già considerata al sicuro. È mancata la mobilitazione, fuori e dentro il web, la chiamata alle armi che fu la vera vittoria del 2008. Si è trasformato un patrimonio popolare e genuino in una lirica elitaria e distante dal candidato, con una divaricazione evidente tra il vertice (sempre più irraggiungibile) e la base (sempre meno coinvolta). Se era impossibile puntare sulla quantità (Serracchiani partiva con un vantaggio incolmabile in 30 giorni e sulla sola base regionale), serviva un colpo di reni qualitativo che non c’è stato. E le due pagine Facebook e Twitter ne sono un esempio evidente.

Cosa succede in città

In molti hanno concentrato l’analisi del voto sulla dicotomia esistente tra Friuli e Venezia Giulia. Rimettete in tasca la penna, probabilmente non serve riscrivere il trattino. Il driver principale di questa campagna elettorale è stato evidentemente un altro: la differenza tra il voto dei centri urbani e le dinamiche elettorali extraurbane. Guardiamo con attenzione quel che è accaduto nei capoluoghi di provincia. Nel 2008 Tondo batteva Illy di 13 punti a Gorizia, di 7,5 punti a Pordenone, di 1,5 punti a Trieste e perdeva per poco più di un punto percentuale a Udine. Cinque anni dopo Serracchiani è sopra di un punto a Gorizia (+14 rispetto al 2003), di 9 punti a Trieste (+10), di 7 a Pordenone (+14,5) e di 6 a Udine (+5). È questa la chiave vera: c’è un’ampia fetta della popolazione, quella che vive nelle città, quella probabilmente meno coinvolta dalle dinamiche localistiche delle preferenze, quella che vota in modo più “politico”, che boccia il centrodestra senza mezze misure. Siccome è un elettorato che è sempre stato molto diffidente nei confronti degli estremismi leghista e grillino, siamo sicuri che l’appiattimento padano di questi anni sia stato così conveniente e che invece non fosse necessario un messaggio più moderato e meditato? Le stramberie su immigrati, cultura, tipicamente friulano e la difesa preconcetta di alcuni bacini di voto (Insiel) hanno probabilmente reso meno credibile il nostro messaggio e allontanato dalle urne prima e dal centrodestra poi la parte più mobile del voto regionale.

Se e come ripartire

Primo: non cercare capri espiatori. Si vince e si perde tutti insieme. Secondo: ripensare il messaggio perché in città e tra i giovani il centrodestra sconta un gap non più colmabile con il consenso territoriale dei singoli consiglieri. Terzo: uscire dalla logica del riconteggio e del lutto trascinato e guardare al futuro. Questa regione ha dimostrato di essere pronta a cambiare idea, se qualcuno le offre l’occasione per farlo (nessuna delle ultime tre maggioranze, per varie ragioni, è stata riconfermata dopo il primo mandato). Servono idee e linguaggi nuovi. Per trovarli ci sono cinque anni: non sono pochi.

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