Andrea Scanzi: «De Andrè, un genio eccessivo»

Sarà una conoscenza autentica, sappiatelo, nessuno spigolo è stato rimosso da quella vita che trasuda genialità ed eccessi. Il Fabrizio De Andrè teatrale show di Andrea Scanzi - Le cattive strade - «non è un tributo, nessun santino per esaltare la celebrazione eucaristica - precisa - preferisco sia il ricordo di un uomo semplicemente unico, con il terrore spolpo del palcoscenico e dalla comunicazione genuina. No maschere, no convenzioni, no compromessi. Se doveva spararle, Faber le sparava, consapevole di dividere. D’altronde il vero intellettuale non mette mai d’accordo tutti».
Scanzi - giornalista e scrittore piuttosto glamour - sfrutta lo stampo usato per Giorgio Gaber, l’altro monumento trattato sul palcoscenico con la devozione dei giusti, privo d’inchini, ma sostanzioso d’animo.
Il biglietto per la prima data regionale di Artegna (sabato 25 al Lavaroni) è volato via lasciando il blocchetto vuoto. Spettacolo, volendo, in recupero al Pasolini di Casarsa, il 5 marzo e al Comunale di Monfalcone, il 6. Organizza l’Ert.
Non sarà un uomo solo sul proscenio, come accadde per Gaber se fosse Gaber, «stavolta mi sono fatto un compagno di viaggio con la chitarra nella custodia», spiega Scanzi. Giulio Casale è la risposta live ai filmati che solitamente distraggono dallo stretto monologare.
«Scelte concordate - dice - cuore e razionalità se la sono giocata alla pari. Con la licenza di reinventare alcune sonorità. Coi grandi si può, è quasi necessario farlo. E Geordie si è trasformato in una sorta di inno dal sapore west-coast. Inverno me lo sono sentito più blues. Le definirei trasgressioni emotive».
In un raptus archeologico, nemmeno tanto per la verità, scaviamo fino al Duemila, scoprendo una tesi di laurea in Lettere dello Scanzi che rivelò il futuro, Amici facili. «In realtà avrei dovuto occuparmi di Beppe Fenoglio, ma Fabrizio se ne andò nel gennaio del ’99 e chiesi al mio relatore professor Bigazzi, il fratello dell’enogastronomo, il permesso per un rapido cambio. Disse di sì e così organizzai un incontro fra Gaber e De Andrè. Ecco, a quelli che oggi mi provocano con “be’, hai sfruttato il successo di Gaber per inventarti De André”, ora sapranno quanto Fabrizio rappresentasse per me già allora».
Dicevamo. La storia non prevede soltanto trionfi. Il ragazzo di Genova visse senza risparmi. «Usando lo stratagemma dell’eccesso, da sempre il patrimonio dei grandi. Beveva molto per esorcizzare il terrore del pubblico, spesso non sapeva controllare i pensieri e talvolta ne sgusciava qualcuno scomodo. Come quando confidò di voler votare il partito sardo d’azione. Lo ripeto, il vero portatore sano di cultura deve essere provocatorio, altrimenti scompare dietro una barriera di banalità. Fu immenso nella poetica, ammise di essere carente sulla musica e bussò alle porte giuste: PFM, Fossati, De Gregori, Bubola. L’amico Villaggio che lo accompagnò dagli 8 ai cinquanta inoltrati, rivelò la bulimia esistenziale di Fabrizio. Se la spassò a meraviglia. Donne, alcol, di tutto. Dovevamo superare la prova più dura prima di andare in scena: Dori Ghezzi. “Ho visto mio marito nel vostro spettacolo”, sentenziò. Basta, okey, è fatta. Senza il suo sì non ci saremmo mossi».
Immaginiamoci Faber tra noi: chitarra sulla coscia, microfono posizionato. Chissà se il popolo lo ascolterebbe ancora, e quanto, in quest’era anonima e stanca?
«Il comparto cantautorale ha perso forza politica, il magma informe della canzone di rapida spendibilità lascia pochissima aria al suono colto. Nei Novanta scrisse La domenica delle salme, una dedica all’umanità morta. Quindi... Ne avrebbe di materiale oggi da maneggiare. Lui e Grillo, ma è cosa nota penso, strinsero subito un patto indissolubile d’amicizia. Pagherei per ascoltare una canzone di Fabrizio sul Beppe leader. Chissà come avrebbe interpretato il grande salto».
E quel giorno che Gaber attaccò De Andrè? «Lo fece pubblicamente e questo seccò Fabrizio. Due tipologie diverse di geni: Giorgio era una specie di robot, l’altro un imprendibile. Poteva succedere che si scontrassero. Nessun ferito, comunque».
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