Anna Marchesini, addio alla maschera comica che veniva dal passato

UDINE. Far ridere è un benedetto dono di Dio. «È una ginnastica fisica» - diceva Aldo Fabrizi. E quanto ci hai fatto sganasciare, Anna. Tu con quegli altri due fenomeni di Massimo e di Tullio. Ma vi ricordate? Roba sana senza additivi. Una comicità omeopatica, che ne puoi buttar giù quanta ne vuoi. Anche noi eravamo più sereni, va detto. Noi nel senso di umanità. Adesso bisogna per forza impiccare qualche politico o sbeffeggiare un finanziere poco gagliardo per portarci a casa un paio d’etti di benessere.
Insomma, pur con tutta la voglia pazzesca di restare aggrappata alla vita, lo disse in tv nel salotto di Fazio, Anna Marchesini l’ha data vinta alla maledizione. Una malefica diavoleria, l’artrite reumatoide; ti condanna a una mutazione irreversibile. Eppure quella dolce signora, seppure ormai deformata, continuò a gesticolare dal palcoscenico come se la malattia non fosse affar suo. Se vivi l’arte, l’arte vive per te. E così sia. E così è stato.
Era pure bella, Anna. Se c’è una cosa che stona in una comicaè proprio il fascino. Distrae. Lei, invece, le sue magnifiche gambe le tirava fuori senza sbatterle in faccia a nessuno. Le notavi, perché non potevi trascurarle, ma restavano nelle retrovie. Mica facile mostrare senza ostentazione. Alla Marchesini bastava la faccia, una maschera trasformabile come la 600 degli anni Cinquanta. Il resto lo faceva la voce con l’estensione di un ranch del Texas.
Il modello AM veniva dal passato, risaliva su dai primi del Novecento quando il cinema era silenzioso. Quattro cretinate in croce e ridevi. Be’, col Trio non era forse così? Appena i tre si spinsero un po’ più in là mettendo in ridicolo Khomeini, al Fantastico 7 del 1986, successe un putiferio. Ne scrisse persino Variety.
Secondo i piani, la diciottenne Marchesini da Orvieto (nasce proprio in Umbria il 19 novembre 1953) la psicologa avrebbe dovuto fare. Si laureò a ventidue anni a Roma. Invece di ascoltare i problemi altrui, la ragazza s’iscrisse alla Silvio D’Amico, appendendo in camera il diploma di attrice nel 1979. Incipit assolutamente lineare. Il resto lo fa sempre il destino. Tu la coscienza ce l’hai a posto. La scena l’accolse subito e la promettente giovanotta dal fisico asciutto e con lo sguardo sveglio, esordì con Molière. Seguirono gli Uccelli di Aristofane e Platonov di Cechov. Cosette utili a un comico, credeteci. Le basi solide servono a uscire dall’impaccio dello sketch lungo.
Se non hai spalle robuste, cadi come un pero. Soltanto chi sa far piangere, saprà far ridere. È legge.
Comunque Anna va per la sua, nel frattempo tentò pure col doppiaggio e l’occasione le sorrise. L’incontro con Massimo Lopez le spianò decisamente il futuro.
Diversamente dall’attualissima era della fotocopia, negli Ottanta si sperimentava credendo nella gioventù capace. La radio è un sito atipico per una mini compagnia, qual era la loro. Però Hellzapoppin’, il sabato mattina, spaccò sul serio. Il corso di mimo fu geniale. Pensateci un po’. Uscì da quegli altoparlanti una carica nuova, mai gustata prima. Magnifiche scemenze. Un controsenso? Macché, all’apparenza. E iniziò la scalata alla televisione. Adesso ci finiscono dentro cani e porci, allora no. E si nota la differenza.

Domenica in, Festival di Sanremo (indimenticabili le sorelle Carlucci) e un Promessi sposi da cineteca, rispettando la classicità del bianco e nero di Bolchi (con Castelnuovo e Pitagora) e il successivo (1989) di Salvatore Nocita con Alberto Sordi. La «bella figheira» è dura da dimenticare.
Perché le altre? La Signorina Carlo, la sessuologa Merope Generosa, la Sora Flora, la cameriera secca dei signori Montagné, la Monaca di Ponza e altri modelli al femminile che si adattarono perfettamente alla sua duttilità.
Non sappiamo bene come spiegarvelo, ma ci proveremo. In molte interpreti la personalità chiamiamola privata salta fuori in qualunque metamorfosi. Ovvero: Tizia diventa Caia, ma un bel po’ di Tizia prevale sempre. Marchesini mutava senza portarsi appresso Marchesini. Speriamo di esserci riusciti. Risparmiandoci nomi contemporanei, ma nessuna è erede. Sorry.
Consci di una fine certa di tutto, o quasi, anche il Trio un bel giorno si sciolse. Un dispiacere. Il calendario segnava 1994. Dodici anni con quei tre pazzi ci avevano ben abituato. Adesso? Pare che fu Lopez a voler cavalcare in solitaria, spezzando il cammino comune. Gente che non visse di dipendenze e ciò favorì tre carriere ben distinte, senza per questo mandare in malora l’armonia.

La ripartenza fu agile, alla Marchesini bastò togliere dal cellophane i suoi alter ego: una spazzolata e via, nuova vita, nuovo vigore. Quelli che il calcio, mica scemi, la pigliarono subito al lazo. E fu ancora festival al fianco di Fabione, stavolta, con due straordinarie signore: Rita Levi Montalcini e Gina Lollobrigida.
Teatro e ancora teatro. Si ritorna sempre a casa, quando ti senti un po’ spaesato. Nel 2005, la lady sfoderò ben quindici caricature nello stesso spazio delle Due zitelle di Landolfi. Qualcosa dentro di lei all’improvviso s’inceppò, alla fine del primo decennio del Duemila. Una bestia inattesa e letale cominciò a mordere dentro. Chiunque avrebbe battuto il pugno per terra in segno di resa. Un’attrice, poi. Niente. Anna tornò in tv mostrando, senza censure, gli effetti kafkiani di una trasformazione, ahinoi, stavolta ben poco teatrale. Forza e coraggio. Seduta sulla poltroncina di Che tempo che fa, spiegò: «Sono così morbosamente ghiotta di vita che mi interessa pure la morte».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto