Antonietta Bello: «La cultura fa civiltà»

Spesso così. Successe anche ad Alberto Sordi. «Lei - comunicarono all’aspirante giovin attore - ha una pronuncia pessima e non raddoppia le lettere. Pensi a un altro lavoro». Lo liquidarono con il rumore di una porta in faccia, l’Albertone. I prof non se la sentirono di offrire speranze sceniche a uno che diceva fero invece di ferro. Quisquiglie, adesso, allora mica tanto. Talvolta i guru c’azzeccano, altre volte pigliano craniate sul muro.
Una carriera stava per formarsi, ma l’incipit non fu indimenticabile. Vero Antonietta Bello?
«Finito il Sello - la signorina con grandi occhi blu mare nasce a Udine - volevo che il teatro diventasse mio e affrontai pazientemente gli step tradizionali. Più o meno stroncata al primo esame: “Scelga l’arte visiva, forse le è più congeniale”. Presi e portai a casa senza per questo farmi ferire. Andai avanti, testarda. Finché trovai chi gratificò un ego mogio mogio. E volai a Genova, la tappa number one di una storia d’amore tra me e il palcoscenico».
Alcune puntate fa, Antonietta è comparsa nella clinica Aurora de Il medico in famiglia 9, serie Raiuno ancora e sempre nel cuore d’Italia. «Elisabetta Marchetti - spiega - è una regista carinissima. Ti accoglie con entusiasmo, accompagnandoti nella storia senza farti sentire un corpo estraneo. Io, d’altronde, sono stata ospite di puntata, quindi fuori dal solido gruppone. Non è automatico che ti facciano sentire a casa, nonostante la simpatia dei ragazzi. Invece... una meraviglia». La fiction resta un luogo frequentato, la diffusione è ampia e l’impatto immediato. «Il teatro è sentimento, impossibile allontanarsi per troppo tempo, se però la televisione bussa, non vedo perché non aprire». Bello sarà nel cast di Un passo dal cielo 3 con Terence Hill e vanta una apprezzabile collezione di sceneggiati, da Don Matteo 9 a Che Dio ci aiuti 2.
Il mestiere s’inizia casualmente, nel 97 per cento di una casistica ripetitiva. Ovvio, non è cosa che appartiene al razionale, riguarda l’istinto. Lo senti nella pancia, ecco. Ma non sai quando esploderà. Dicevamo. Diploma in Restauro e catalogazione al Sello, «e ancora in quello squarcio d’esistenza lo spettacolo mi sfiorava senza aggredirmi. Il Palio, certo, se hai quel minimo di passione ci finisci dentro. Anch’io risucchiata nel meccanismo. Ti sciogli, capisci che significa stare davanti a un pubblico vero, è un gran training. Poi ognuno sceglie se continuare oppure considerarlo un utilissimo punto di attraversamento».
Udine-Genova. Primo trasloco. «Allenamento fondamentale con la Compagnia diretta da Marco Sciaccaluga - racconta Antonietta - e con Eros Pagni. Cresci in fretta con gente così al fianco». E poi giù, a Roma. «È la capitale il fulcro attorno al quale tutto ruota. Non basta viverci, una delle mosse immediate indispensabili è trovare un’agenzia. Se hai fortuna... Io l’ho avuta, la buona sorte dalla mia. Sei protetto, non a cavallo. Sta a te dimostrare quanto vali». Ti perdi a sfogliare le quattro pagine fitte di curriculum. La partenza è del Duemila e si risale su acchiappando il 2014.
Quattordici anni soprattutto di tavole ruvide, rapidi cambi di direzione, molto Teatro di Roma. L’agenda della seconda metà dell’anno non lascia speranza al dolce far nulla. Antonietta Bello è protagonista di Ve lo faccio vedere io il teatro e aspetta l’uscita de La buca, il film di Daniele Ciprì con Rocco Papaleo e Sergio Castellitto. E guardandosi indietro? «Mi tengo stretta una mise en space con Roberto Herlitzka. Non ci volevo credere. Eppure lui era lì».
Udine è un attracco sicuro. «Appena posso risalgo la Penisola. Calamitata dalla famiglia e dal mio dentista, quando serve». Si sbatte, alla fine, sul solito scoglio. Che umore c’è in giro in ’sto Paese strampalato... «Mah, non so. Per non pensarci ci dò dentro. Andremo male finché loro non capiranno che la cultura fa civiltà».
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