Arblù, nuova sentenza: no al reintegro

FONTANAFREDDA. «Il Tribunale di Pordenone ci ripensa e sul caso della dipendente della ditta Arblu di Fontanafredda che aveva chiesto e ottenuto la reintegra per presunta discriminatorietà del...

FONTANAFREDDA. «Il Tribunale di Pordenone ci ripensa e sul caso della dipendente della ditta Arblu di Fontanafredda che aveva chiesto e ottenuto la reintegra per presunta discriminatorietà del licenziamento, ribalta la precedente decisione, riconoscendo l’assoluta buona fede dei datori di lavoro e il giusto motivo dell’allontanamento dal posto di lavoro della lavoratrice». Lo fanno sapere i legali dell’azienda, Gianmatteo Boscarini di Treviso e Francesco Elia di Roma, alla luce della sentenza emessa martedì dal giudice del lavoro Martina Gasparini di Pordenone.

Il caso è quello di Cristina De Fonzo, dal 1999 operaia alla Arblu, ditta produttrice di box doccia, che aveva reso pubblica la sua storia e, seguita da Gianluca Pitton della Fiom Cigil, era ricorsa al tribunale poiché riteneva che il suo licenziamento fosse l’effetto di un «atteggiamento persecutorio» scattato con l’iscrizione al sindacato.

In prima istanza, il giudice del lavoro Angelo Riccio Cobucci di Pordenone le aveva dato ragione condannando il datore di lavoro a reintegrare la lavoratrice, a corrisponderle tutte le mensilità maturate e a pagare le spese legali. Una sentenza che l’Arbu aveva immediatamente impugnato davanti al Tribunale. Con la Legge Fornero infatti è stato aggiunto un ulteriore grado di impugnativa prima dell’appello.

Martedì il giudice del lavoro Gasparini, con una sentenza che i due legali definiscono «puntuale e rigorosa», ha revocato la reintegra concessa in via cautelare e compensato tra le parti le spese di lite.

«Il giudice – riferiscono gli avvocati – ha ritenuto insussistenti le doglianze della lavoratrice e attendibili le testimonianze dei dipendenti che avevano escluso ogni profilo antisindacale o persecutorio dei vertici dell’azienda». L’Arblu è stata quindi sollevata dall’accusa di discriminare i suoi lavoratori. «Sarebbe stato ingiusto – dichiara Pier Giorgio Presotto, legale rappresentante della ditta – che la nostra azienda potesse essere condannata senza possibilità di difesa rispetto a fatti mai accaduti e contrari alla nostra filosofia».

Milena Bidinost

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