Aumento preoccupante dei casi di bullismo a scuola

UDINE. «Nell’ultimo anno abbiamo assistito a una crescita esponenziale dei casi di bullismo. Un dato preoccupante». A parlare è l’agente della Polizia postale Alessandro Vacca. Ad ascoltarlo, alla scuola media Tiepolo, un auditorium gremito per l’incontro «E se avessi un bullo in casa? Educare al rispetto per sé e per gli altri», appuntamento organizzato dall’associazione Genitori comunità educante, con il supporto di Marco Maggi, consulente educativo e formatore per docenti e genitori. Un momento per riflettere anche sul ruolo dei genitori nell’educazione dei propri figli.
«Il fenomeno, generalmente, riguarda la fascia d’età delle scuole medie. I soggetti coinvolti, per vulnerabilità e metodiche, creano particolare allarme sociale – ha aggiunto Vacca –. Sono denunciate per lo più ingiurie, minacce, estorsioni e violazioni nella tutela della privacy. Ecco perché ultimamente battiamo al tappeto le scuole della provincia di Udine. Il problema principale è che i genitori non sono abbastanza consapevoli della pericolosità dello strumento internet e regalano con troppa facilità smartphone ai loro figli». Ma è anche una questione di educazione, di responsabilità nel fare i genitori.
Di “bullismo” se ne parla dal 2006 (e i primi casi documentati risalgono agli anni Novanta), ma spesso c’è molta confusione. E allora cerchiamo di fare un po’ d’ordine: «Si tratta della prevaricazione e della vittimizzazione, prolungate nel tempo, di un ragazzino da parte di uno o più compagni – spiega ancora Maggi –. Esistono quattro indicatori specifici: la prevaricazione diretta o indiretta, nell’atto del bullo c’è una simmetria, un abuso di potere esattamente come capita in caso di mobbing o nonnismo in caserma. Si tratta poi di azioni reiterate, che coinvolgono sempre i medesimi soggetti e spesso alla presenza di altri compagni, che legittimano l’atto e lo rinforzano».
Le violenze fisiche sono di immediata comprensione per un adulto, ma esiste anche il cosiddetto “bullismo indiretto” che comporta l’isolamento sociale, l’esclusione dal gruppo e la diffusione di pettegolezzi ai danni della vittima. È una forma di prevaricazione sempre più diffusa, anche fuori dall’ambiente scolastico. Infatti, i “luoghi del bullismo” sono tutte quelle occasioni in cui manca il controllo da parte degli adulti, come per esempio nel tragitto casa-scuola, nei bagni o in palestra.
Il bullismo coinvolge tutti, perché se il danno alla vittima è evidente, chi compie prepotenza entro i 18 anni ha almeno un procedimento penale già in piedi. Il problema è più esteso di quanto si possa ritenere e, a livello nazionale, riguarda il 40% dei casi alle scuole elementari (due studenti su cinque), il 25% alle medie (uno su quattro) e il 19% alle superiori (uno su cinque).
Il “bullo” è un ragazzo (o una ragazza) aggressivo anche verso gli adulti, genitori e insegnanti. Ha scarsa empatia, accompagnata però da un’immagine positiva. È un opinion leader. Fra i bulli si distinguono diversi ruoli.
Su tutti è il regista, cioè l’ideatore delle prepotenze, che non necessariamente è anche chi le mette in pratica. Poi i gregari, i ragazzini cui è affidato il “lavoro sporco”, la prepotenza. E i sostenitori, ovvero chi ride e partecipa in modo indiretto, rafforzando l’azione. «Sono corresponsabili tanto quanto il bullo», sottolinea Maggi.
Le vittime normalmente hanno una bassa autostima, sono timide e generalmente poco attraenti. Ma quando si passa dallo scherzo a una prepotenza? «Il limite spesso è il tempo, la reiterazione – spiega Maggi –, ma non è una verità assoluta. Perché se la vittima arriva alle lacrime, allora la soglia è passata. L’eccesso può arrivare fino all’umiliazione e al reato». I fattori di rischio sono legati al carattere, all’ambiente familiare e a quello scolastico, ma anche alla dimensione socio ambientale: «Non è vero che al liceo classico non c’è bullismo – chiosa Maggi –. È diverso ma c’è come in tutte le altre scuole».
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