Baita confessa: «Ho dato soldi ai partiti»
MESTRE. Non ha solo ammesso le responsabilità per i reati che lo hanno portato in carcere. Piergiorgio Baita ora ha iniziato a parlare di altri affari. Di politica e soldi. Ha cominciato a raccontare di come il “sistema Baita” serviva anche per finanziare i partiti. E senza distinzione di colore. Soldi destinati ad almeno tre campagne elettorali. Non soldi versati alla luce del sole. Denaro fatto arrivare nelle casse dei partiti in maniera illecita. Non è chiaro, almeno non si sa se ha fatto anche il nome di singoli partiti. Naturalmente le sue affermazioni dovranno essere verificate.
Nelle quattro ore di interrogatorio da parte del pm Stefano Ancillotto, l’ex “ad” della Mantovani ha deciso di cambiare strategia difensiva dopo tre mesi e mezzo di carcere e con la prospettiva di rimanerci parecchio tempo. E questa nuova strategia è iniziata con la rinuncia dello studio legale “Longo Ghedini” a difendere il manager ancora in prigione a Belluno. Ora il legale di Baita è l’avvocato mestrino Alessandro Rampinelli insieme ad Enrico Ambrosetti di Vicenza.
Quanto sarà devastante per la politica veneta il racconto di Baita, è presto per dirlo. Ma nelle ore dell’interrogatorio, non deve aver vuotato molto il sacco. Forse ora ha solo “assaggiato” la disponibilità dell’accusa di limare la sua posizione che non è certo semplice. Da quanto si è appreso ha parlato di alcune centinaia di migliaia di euro versati ad alcuni partiti in vari modi e in occasione di almeno tre campagne elettorali. Non è chiaro se ha fatto nomi precisi di politici a cui sono finiti i soldi. Di certo ha spiegato certi meccanismi per far arrivare il denaro. In questa fase la linea difensiva di Baita potrebbe essere quella di giocare al ribasso per capire quanto sia disponibile a mollare l’accusa per alleggerire la sua posizione. Bisogna tenere presente, però, che il pm Ancillotto e i finanzieri del Nucleo Provinciale di Polizia Tributaria, oltre agli elementi raccolti durante le indagini, possono contare su quanto raccontato da Claudia Minutillo, William Colombelli e Nicolò Buson. I tre, da qualche settimana, non sono più neanche agli arresti domiciliari. Sono stati scarcerati, non solo perché hanno ammesso le proprie responsabilità per i fatti di cui sono chiamati a rispondere, hanno aggiunto anche dell’altro. In particolare il ragionier Buson e Claudia Minutillo. Due ingranaggi fondamentali del sistema “sistema Baita”.
Il manager avrebbe quindi confermato anche alcune parti dei racconti fatti dai due. È immaginabile che da lui gli inquirenti si aspettino dell’altro. Anche perché per qualche decennio ha diretto un’azienda che praticamente si è aggiudicata le principali opere pubbliche in Veneto. C’è poi il filone che porta le indagini in Svizzera dove sono stati scoperti dei conti correnti riconducibili a Piergiorgio Baita. L’ex “ad” dovrà spiegare se quei conti correnti erano personali oppure attribuibili alla Mantovani che fin dall’inizio ha preso le distanze dall’operato di Baita. Le autorità elvetiche stanno fornendo la massima collaborazione agli uomini della Guardia di Finanza che impegnati a seguire questo flusso di denaro. Gli investigatori stanno verificando chi aveva accesso ai conti. Appare evidente che quanto Baita ha raccontato fino ad ora non è sufficiente per farlo uscire dal carcere di Belluno dove si trova. Bisogna capire quanto lui voglia spiegare del sistema che ha messo in piedi e con chi era sceso a compromessi. Di certo il manager non vuole restare, a 64 anni, con il “cerino in mano”.
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