Bambina annega giocando in piscina
Aurora Vulcano, 7 anni, di Cividale, era a Premariacco con il papà che non ha fatto in tempo a intervenire. Inutili i tentativi per rianimarla.

PREMARIACCO. Il corpicino della bambina è adagiato ai bordi della piscina. Il padre è disteso accanto a lei. Devastato dal dolore e dai singulti. Le accarezza i capelli bagnati e il viso già cereo. Le sussurra qualche cosa. Le parla. Le accarezza di nuovo i suoi capelli biondi. Piange. Non si dà pace. Ma Aurora non può sentire. Aurora, la sua figlioletta meravigliosa di appena 7 anni, è morta. Aurora è morta in quella piscina dove il punto più profondo è di appena un metro e 40 centrimetri. È morta annegata per una probabile congestione. In quel momento lì c’erano circa cento persone. Quando un altro bambino ha visto il corpo di Aurora adagiato sul fondo della piscina era già troppo tardi.
Aurora e suo papà Valentino Maria Vulcano, 42 anni, militare, erano arrivati da Cividale al “W La...”, una birreria di San Mauro di Premariacco, verso le 14. Si sono subito diretti verso la piscina adiacente, gestita dalla stessa birreria e per il cui accesso è necessaria la tessera di iscrizione. La tragedia si è consumata circa 50 minuti dopo. La ricostruzione è ancora imprecisa. Aurora era in acqua e stava giocando nel tratto riservato ai bambini. Suo padre era ai bordi della piscina. Ogni tanto le parlava. Pare si sia alzato per prendere un gioco. Improvvisamente le urla, i volti dei bagnanti terrorizzati e quel corpo adagiato sul prato. Le labbra sono già bluastre. È priva di conoscenza. Qualcuno le provoca il vomito per poter poi dare il via al massaggio cardiaco e alla respirazione bocca a bocca.
Mentre viene allertato il 118, intervengono Nicola Muradore, studente di medicina in possesso del brevetto di bagnino, e Luisa Roiatti, che ha alle spalle 8 anni di attività nella Croce rossa e tre di volontariato nel 118. Si prodigano in tutti i modi. Dieci minuti dopo sarà l’équipe del 118 a sostituirli. Il tentativo di riportare alla vita Aurora prosegue per lunghi minuti, mentre la gente assiste impietrita. Il silenzio è surreale, rotto soltanto talvolta dal padre che chiama la figlia. Alla fine anche gli uomini del 118 si arrendono. Non c’è più nulla da fare. Una dottoressa piange e abbraccia un collega, straziata dall’impotenza del loro soccorso. Ripartono. Anche i bagnanti cominciano ad andarsene. Tutti hanno gli occhi arrossati. Non hanno la forza di dire nulla. Una tragedia assurda, pensano.
Ai bordi della piscina resta il padre, quell’angioletto privo di vita e i carabinieri di Premariacco e di Cividale che erano arrivati verso le 15. A loro l’ingrato compito di verbalizzare, di dare un “contorno” a quella morte, di misurare la temperatura dell’acqua, di sentire i testimoni, di ascoltare. In quella piscina non serve il bagnino. E la responsabilità della sorveglianza dei bambini ricade sui genitori. Ma non c’è sorveglianza che possa fronteggiare il destino quando questi affonda la sua lama assassina.
Poco prima delle 16 arriva il fratello di Aurora. Si chiama Cristiano, ha 19 anni. Studia e lavora. Si precipita in piscina urlando il suo dolore. Si adagia accanto alla sorella amata che non c’è più. Le tocca il viso, la chiama. Piange. Aurora è ancora distesa sull’erba, una coperta sopra il corpo che lascia libero soltanto il visetto e i capelli biondi ancora bagnati, quando arriva la mamma, Silvana Petricig, accompagnata da un’altra parente. L’incontro con quel corpo privo di vita è l’urlo che graffia l’anima di una mamma che ha perso la figlia in una domenica di luglio. L’aveva salutata poco prima quando con il papà era salita sullo scooter per andare a trascorrere qualche ora al fresco. «Aurora, vieni a casa, dimmi che sei viva, Auroraaaa...». Papà, mamma e figlio distesi incollati a quel corpo senza vita, in un’immagine che nessuno vorrebbe mai vedere. Passa ancora qualche minuto. Poi madre e figlio - la sofferenza scolpita sui visi - se ne vanno. Rimane il papà per le ultime, ciniche formalità prima che Aurora venga consegnata al carro funebre.
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