Banca di Cividale, gli indagati ora sono cinque

Anche l'istituto (l’ipotesi di reato è corruzione tra privati), ma pure l'accusatore. Intanto Comelli risponde a Pelizzo: la mia querela non ha avviato l’inchiesta
Cividale 17 Aprile 2013. Banca Popolare di Cividale. Sede centrale Piazza del Duomo. Telefoto Petrussi Foto Press / Diego Petrussi
Cividale 17 Aprile 2013. Banca Popolare di Cividale. Sede centrale Piazza del Duomo. Telefoto Petrussi Foto Press / Diego Petrussi

CIVIDALE DEL FRIULI. Gli indagati, adesso, sono cinque. Nelle scorse ore, la Procura ha iscritto sul registro anche la Banca popolare di Cividale e ipotizzato a suo carico il reato di corruzione tra privati. L’istituto di credito, in altre parole, è stato chiamato a sua volta a rispondere in prima persona di tutti o parte degli episodi contestati ai propri vertici.

Non solo, anche l’immobiliarista veneto Gianni Moro, grande accusatore nell’inchiesta sulle condotte estorsive dei vertici della Banca di Cividale a danno dei clienti, è stato a sua volta iscritto nel registro degli indagati.

Lontano dal palazzo di Giustizia, intanto, il notaio Pierluigi Comelli, presidente dell’Associazione degli azionisti della banca, rispedisce al mittente le accuse del presidente Lorenzo Pelizzo che, nel giorno della notifica dell’avviso di garanzia, aveva messo in relazione l’avvio dell’inchiesta con il deposito di una sua querela in Procura.

 

Il quarto indagato. Dopo le iscrizioni di Pelizzo, dell’ex direttore generale Luciano Di Bernardo e del suo vice (ora sospeso) Gianni Cibin, tutti indagati per quattro distinte e slegate ipotesi di estorsione, il pm ha dunque deciso di procedere anche con quella della banca di cui sono - o, nel caso, di Di Bernardo (peraltro l’unico a finire ai domiciliari) erano - dipendenti.

A prevederlo è il decreto legislativo 231/01, che ha introdotto il concetto di responsabilità amministrativa delle società (e, quindi, delle persone giuridiche), per reati commessi da amministratori, manager o dipendenti, e che, dalla scorsa estate, comprende due nuovi reati, tra cui appunto la corruzione tra privati. La situazione è ancora assai fluida e le indagini in una fase assolutamente preliminare. A quanto appreso, comunque, le vicende per le quali è stata coinvolta la Popolare coincidono per buona parte con quelle attribuite ai tre manager.

Il notaio dal pm. Ed è proprio da quei quattro episodi riportati dal pm nel capo d’imputazione che Comelli ha inteso partire, per correggere l’errata interpretazione che dei fatti si è voluta dare. A spiegarlo è l’avvocato Roberto Paviotti. «Era stato il pm - dice - a convocare Comelli in Procura e a informarlo delle accuse mosse ai vertici della banca da Franco Pirelli Marti e da altre persone (l’immobiliarista veneto Gianni Moro, ndr) e a chiedergli poi se, alla luce di quanto appreso, volesse che si procedesse nei confronti degli accusati (Di Bernardo, Pelizzo e Cibin, ndr), chiedendone la punizione in caso di accertamento della loro responsabilità».

Scontata la risposta del notaio, strenuo oppositore di Pelizzo, per l’eccessiva durata della sua presidenza (43 anni) e per alcune divergenze sulle scelte operate dalla banca sotto la sua gestione. «Ha ovviamente risposto di sì - continua Paviotti -, non solo a tutela degli interessi degli azionisti, ma anche per l’innato senso di giustizia che il suo ruolo professionale gli impone». Da qui la querela.

Dubbi sulla nuova sede. Era il 19 febbraio e Pirelli Marti era stato da poco interrogato. «Di tutto ciò che gli fu riferito - dice l’avvocato Paviotti -, il notaio nulla sapeva o aveva immaginato». Con la sola eccezione del caso dell’agriturismo di Cladrecis, ma a mero livello di “rumors”. Al magistrato, Comelli aveva raccontato di non averne fatto mai menzione ufficiale «perchè preoccupato di eventuali reazioni a suo danno».

Ma c’è anche un’altra questione sollevata da Comelli e a sua volta scivolata nelle pieghe dell’inchiesta: l’operazione da 50 milioni di euro per la realizzazione della nuova sede della Banca di Cividale. Progetto sul quale il presidente degli azionisti aveva manifestato forti dubbi sia circa l’opportunità d’imbarcarsi in una spesa così rilevante, sia per la scelta di non passare attraverso un concorso d’idee o una gara e nominare invece un progettista di Monfalcone. Martedì, la Guardia di finanza ha effettuato una perquisizione anche alla “Steda” di Rossano Veneto, la società che sta realizzando la nuova sede.

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