Banca di Cividale, il Gip accusa anche Pelizzo di estorsione
UDINE. C’era il grosso e potente immobiliarista veneto che non aveva alcun bisogno d’ingraziarsi o di “oliare” chicchessia all’interno della banca friulana che lo finanziava e c’era il ben più modesto professionista udinese a capo di una miriade di srl che, al contrario, sui regali in denaro ai vertici di quello stesso istituto di credito aveva costruito la propria fortuna. E l’episodio dell’acquisto imposto da Lorenzo Pelizzo a Franco Pirelli Marti dell’agriturismo della moglie «a un prezzo esorbitante» ne è la prova lampante: una richiesta «chiaramente estorsiva» e sintomatica «dell’atteggiamento mentale supino» del commercialista «che non poteva rifiutare un “favore” al presidente della banca e nemmeno al direttore generale». È questo lo scenario sulla base del quale il gip del tribunale di Udine, Francesco Florit, ha deciso di applicare la misura cautelare degli arresti domiciliari a Luciano Di Bernardo, ex dg della Popolare di Cividale (per il quale il pm aveva chiesto il carcere) e, ritenendo la vicenda contestata a Pelizzo troppo remota e i pericoli di inquinamento probatorio e reiterazione del reato ormai non più concreti, di respingere la richiesta dei domiciliari che era stata avanzata invece per il presidente.
Il potere dell’immobiliarista. «Se Gianni Moro ha pagato Di Bernardo - scrive il gip - non era per ingraziarselo, ma perchè sapeva, secondo il costume italico, che una volta effettuato il primo pagamento, si sarebbe “comprato” il direttore della banca, che a quel punto ben difficilmente avrebbe detto di no». Il gigante dell’imprenditoria immobiliare veneta, che alla Banca di Cividale chiese e ottenne 22 milioni di euro di affidamento per la realizzazione di un centro commerciale in Belgio, insomma, non era la vittima, ma l’attore di un sistema «nel quale si scambiano favori con doveri, senza comprendere dove finisce il primo e dove inizia il secondo». Tanto da riuscire a decidere di «“chiudere i rubinetti”, quando si stufò di effettuare i pagamenti delle fatture da Mcc a Fingepart di 18 mila euro ogni sei mesi per pagare il mutuo per le due ville di Lignano». Vista in quest’ottica, secondo il gip, «quella ai danni di Moro non fu estorsione».
Un sistema collaudato. Lo fu, invece, per Pirelli Marti. Mai minacce o violenze, sia chiaro, bensì «l’adeguamento a un costume corruttivo in atto». Impensabile, per il gip, che le elargizioni denunciate dal commercialista nelle dichiarazioni rese al pm - arrestato in dicembre per quattro ipotesi di bancarotta fraudolenta, Pirelli Marti avrebbe in tal modo “barattato” la misura meno afflittiva dei domiciliari - «fossero semplici “regali” nell’ambito di un rapporto costruttivo tra pari». Tanto più, considerando che lo stesso Pirelli Marti, a capo di un complesso sistema di società necessitanti di continue iniezioni di denaro, «conosceva il meccanismo di “lubifricazione” già in atto».
Lo “scambio” di Cladrecis. A monte, il gip ricorda proprio «la richiesta chiaramente estorsiva di Pelizzo, cui Pirelli Marti aveva già dovuto soggiacere nel 2004, relativa all’acquisto dell’agriturismo di Cladrecis a un prezzo esorbitante, con un illecito arricchimento di oltre 150 mila euro». Ricostruiti dallo stesso commercialista, i fatti sono considerati dal giudice credibili alla luce di quel che avvenne in seguito: innanzitutto, la concessione del prestito di 30 milioni a Ge.tur per l’organizzazione degli Eyof 2005 che prima gli era stato negato e, un anno e mezzo fa, la restituzione attraverso la società Steda - costruttrice della nuova sede della Banca di Cividale - di 150 mila euro, che Marti Pirelli gli chiese in un momento di difficoltà. «Si deve escludere - osserva il gip - che la corresponsione di 150 mila euro sia stata fatta da Pelizzo come atto di generosità, tanto meno con la mediazione di Di Bernardo e l’erogazione della Steda».
La verità di Di Bernardo. Ieri, intanto, è stata la giornata dell’ex dg. Passaggio fondamentale, ai fini della sua liberazione. Accompagnato dall’avvocato Luca Ponti, Di Bernardo si è presentato nell’ufficio del gip per l’interrogatorio di garanzia. Quattro i cardini della difesa. «Non è mai stato amministratore di fatto di Fingepart e, quindi, nulla sa delle fatture - ha detto Ponti -, non ha mai preso compensi o dividendi come socio o per l’intestazione fiduciaria, non ha mai ricevuto soldi in nero, nè estorto alcunchè. E, soprattutto, quello che ha avuto, ossia le due ville a Lignano, lo ha pagato». La prova? Gli assegni circolari per complessivi 550 mila euro che Di Bernardo aveva versato alla Cassamarca, ossia la finanziatrice di Fingepart, per liberare gli immobili dall’ipoteca del prestito e che il suo difensore ha depositato in tribunale. Un punto, questo, sul quale anche il gip si era detto perplesso. «L’ingresso in Fingestim e il pagamento della partecipazione di Di Bernardo per 473 mila euro nulla ha a che vedere con l’acquisto delle ville. L’operazione, inoltre - dice l’ordinanza - è anteriore di due anni al mandato fiduciario conferito da Di Bernardo a Deltaerre per la gestione dell’81% delle quote di Fingepart: è difficile comprendere come il finanziamento di 473 mila euro possa dirsi essere andato a favore di Di Bernardo». Trasmessi gli atti al pm per il parere, il gip deciderà entro cinque giorni sull’istanza di revoca della misura.
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