Bar e ristoranti: non chiedere i documenti è una liberazione

Il fatto di non essere più costretti a chiedere il documento di identità ai clienti per verificare la corrispondenza con il Green pass è stato accolto come una vera e propria liberazione dalla maggior parte dei ristoratori udinesi, molti dei quali non negano di far fatica a seguire ogni giorno le novità per far fronte all’emergenza sanitaria. E lo stesso vale per i clienti che però una cosa l’hanno capita bene: stando all’aperto non solo possono evitare di esibire il Green pass e di indossare la mascherina, ma riducono anche il rischio di un contagio. A patto ovviamente di mantenere il distanziamento.
E allora ecco che, tra le tante abitudini che il Covid ha cambiato, c’è pure quella della corsa al tavolo più ambito. Una volta, prima della pandemia, con il termometro quasi costantemente sopra ai 30 gradi, in molti preferivano i posti al chiuso, rinfrescati dall’aria condizionata. Oggi invece, nonostante il caldo, i più richiesti sono quelli all’aperto. Non a caso, quasi tutti gli esercenti che avevano spazio, hanno occupato la strada con tavoli e sedie approfittando dell’opportunità concessa dal Comune e Ssm, la società che gestisce la sosta, ha dovuto rinunciare a una novantina di parcheggi.
«La possibilità di sfruttare spazi all’aperto è stata fondamentale», dice Fatmir Kurti che gestisce il ristorante e pizzeria “Dal Re” in via Bertaldia e che, alla fine del lockdown, lo scorso anno, riaprì il locale a mezzanotte e un minuto. Al “Barbaro” di piazza San Giacomo la titolare Amanda Railz insieme a Leyselin Cruz assicura che «il lavoro non manca, c’è tanta gente in giro e il Green pass non è un problema perché chi viene qui preferisce stare all’aperto» dove, grazie al via libera delle Belle arti, tavolini e sedie hanno “invaso” anche il plateatico.
Meno contento del certificato verde è Dino Krupic che nel suo ristorante di specialità croate Abbazia di via Manin sfrutta la pedana all’aperto: «La gente preferisce stare fuori e io sono contento perché ci evitiamo complicazioni. Chiedere anche i documenti era una cosa senza senso».
Alla Pepata di corte Savorgnan, lo chef Luca Calviello ha sistemato un cartello all’ingresso ricordando l’obbligo di esibire il Green pass per chi vuole accomodarsi all’interno oltre ad avere indicato il numero massimo di clienti e l’obbligo di mantenere il distanziamento e di indossare la mascherina. «Fino adesso - sottolinea - la nostra clientela è stata molto collaborativa e onestamente sono contento che sia venuto meno l’obbligo di verificare i documenti perché era una situazione che metteva a disagio anche i miei dipendenti. Stiamo lavorando molto bene soprattutto con i tavoli all’esterno, quando saremo costretti a stare all’interno sarà più complicato anche perché abbiamo dovuto rinunciare a diversi coperti».
Sollevata di non dover più chiedere i documenti anche Tatiana Petris del Bacaro foresto di piazza XX settembre: «Era assurdo, anche adesso non capisco perché il Green pass serva al ristorante ma non dal parrucchiere o per prendere un mezzo pubblico, comunque ci adattiamo, la maggior parte della gente sta all’aperto e chi entra sa quali sono le regole. Solo una signora, saputo del certificato verde obbligatorio, ha disdetto la prenotazione». Al bar Savio, sempre in piazza XX settembre Daniela Michieli assicura che «ancora oggi c’è chi non sa o finge di non sapere del Green pass. E un paio di clienti non hanno per nulla gradito la richiesta di un documento, alcuni se la sono presa con noi». Al caffé Beltrame di via Rialto, Angelica Reyes e Rosa Spena dicono che «i clienti irritati dalle regole che cambiano di continuo sono in tanti». —
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