Birra avvelenata, nessun risarcimento

I giudici e l’omicidio dell’architetto americano: medici dell’ospedale di Udine negligenti, ma non l’avrebbero potuto salvare

UDINE. Senza scampo. La mano che nel luglio 1999, a Camino al Tagliamento, versò un potente topicida (il solfato di tallio) in una bottiglia di birra poi bevuta dall’architetto statunitense Richard Nolan Gonsalves non andò certo per il sottile: inserì infatti 18 grammi di veleno, 7 dei quali rimasero sul fondo della bottiglia, mentre gli altri 11 furono poi ingeriti dall’inconsapevole americano insieme alla birra. Una condanna a morte: la quantità di tallio bevuta dall’architetto era infatti dieci volte superiore alla dose letale per l’uomo. Gonsalves, 33 anni, morì all’ospedale di Udine nel giro di due giorni, alle 20.50 del 18 luglio 1999, tra atroci sofferenze.

Tutta quella drammatica vicenda rimarrà avvolta nel mistero. In sede penale infatti non fu individuato il colpevole dell’avvelenamento. E più recentemente nel procedimento civile promosso dalla famiglia Gonsalves contro l’ospedale di Udine si è giunti alla conclusione che indipendentemente dall’efficacia delle cure messe in atto dai sanitari Richard Nolan Gonsalves non si sarebbe potuto salvare: la dose di veleno era così forte da stroncare chiunque. Nessuna terapia sarebbe dunque servita.

Dunque partita chiusa. La famiglia Gonsalves si è vista respingere la richiesta di risarcimento dei danni morali, biologici ed esistenziali avanzata nei confronti dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Udine che complessivamente ammontava a circa un milione e mezzo di euro. I genitori della vittima - il professore universitario Robert Gonsalves e sua moglie Pat - erano infatti convinti che le cure prestate dai medici non fossero state efficaci, anzi superficiali.

Secondo i familiari i sintomi furono sottovalutati, tanto che l’architetto venne dimesso dopo una prima serie di accertamenti che comunque non individuarono la causa dei malori avvertiti all’inizio del doloroso decorso. E anche quando Gonsalves tornò in ospedale dopo alcune ore in preda ai dolori le diagnosi non sarebbero state efficaci e tempestive, sempre secondo la famiglia.

Su questo punto il Tribunale civile di Udine ha compiuto accertamenti tramite una consulenza tecnica d’ufficio affidata al professor Piero Fiorentini, che è stata poi integrata in sede di udienza. E non sono mancati gli appunti al comportamento dei medici.

«La conclusione - scrive il giudice civile Paolo Petoello nelle motivazioni della sentenza civile - è stata che non vi è stata imprudenza e/o imperizia da parte dei medici dell’ospedale di Udine, ma il sanitario del pronto soccorso ha sottovalutato l’elemento dell’ingestione con la bevanda di sostanze tossiche e di conseguenza non ha utilizzato tutte le risorse per effettuare una terapia mirata in tal senso: comportamento pertanto non del tutto diligente, fermo restando che anche laddove l’approccio fosse risultato ineccepibile, non sarebbe valso a salvare la vita del paziente».

È questo il punto decisivo della causa civile. Manca il cosiddetto “nesso causale” tra il comportamento negligente della struttura ospedaliera e la morte del paziente.

La vicenda di Richard Nolan Gonsalves va definitivamente in archivio. Nonostante la mancanza di un colpevole e di un risarcimento per la morte del figlio, Robert Gonsalves e sua moglie - presenti a tutte le udienze del processo - hanno comunque ringraziato il giudice Petoello (recentemente scomparso) per l’attenzione e la sensibilità dimostrata durante tutto il percorso della causa.

La famiglia Gonsalves era rappresentata dagli avvocati Fabrizio Vismara e Marco Paglionico; l’Azienda ospedaliero-universitaria “Santa Maria della Misericordia” dagli avvocati Marco e Susanna Errera Marpillero; la Fondiaria Sai spa dall’avvocato Francesca Casolino.

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