Blasoni e la giustizia: quando pagò il conto per una storia di corruzione e bancarotta

UDINE. Prima dell'inchiesta sulla presunta truffa al Servizio sanitario nazionale, Massimo Blasoni - era il 23 aprile 1999 - chiuse i suoi primi conti con la giustizia: un anno, nove mesi e dieci giorni di reclusione frutto di un “patteggiamento tombale” che racchiudeva una serie di inchieste, tre per la precisione. Non scontò il carcere perchè beneficiò della sospensione condizionale della pena.
Fu arrestato il 23 maggio 1995 e restò in carcere fino al 18 luglio successivo. Corruzione, bancarotta, falso in bilancio e false fatturazioni: erano questi i reati ipotizzati, il più “grave” fu quello della bancarotta.
Un accordo accusa-difesa che ebbe un prezzo: 260 milioni di lire versati ai liquidatori della coop di servizi Sanitalia a titolo di transazione, la rinuncia alla miliardaria causa civile intentata contro di loro e il ritiro dell’opposizione allo stato di insolvenza della stessa coop.
C’erano poi i reati societari e fiscali relativi all’altra coop finita sotto inchiesta, la Ares, e infine la corruzione, quella che portò Blasoni in carcere: la tangente da dieci milioni di lire arrivati dalla ditta che si era aggiudicata la vendita dell’ex sede dello Iacp e che lui stesso aveva “girato” alla Dc per una festa del partito.
La scalata sociale di Blasoni comincia ai tempi del liceo: assume il ruolo di leader della protesta studentesca, a poco più di vent'anni è gestore dell'Estate teatrale, poi scende in politica fino ad arrivare a essere tra i più votati nella storia di Udine, il delfino d'un presidente della Regione appena approdato in Parlamento e in odor di ministero, e con la vicepresidenza Iacp più giovane d'Italia.
Nel frattempo la costruzione d'un piccolo impero finanziario: le coop di servizi con oltre 550 occupati. Poi il botto: Tangentopoli dilaga, Massimo Blasoni è colpito e affondato. Più d'un mese in cella, fino a due con i domiciliari, l'inizio di un'odissea che si era chiusa - come anticipato - con il patteggiamento tombale.
Ma all'alba di giovedì 24 ottobre 2019 la giustizia ha bussato di nuovo alla porta dell'imprenditore udinese.
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