Blitz antidroga: in Appello condannati dirigente e agenti

Ribaltata la sentenza di primo grado di assoluzione. L’accusa: falso in un’operazione del 2007 a Lignano

UDINE. La Corte d’appello di Trieste ha ribaltato la sentenza di primo grado che, il 12 ottobre 2010, aveva assolto con la formula «perchè il fatto non sussiste» un dirigente e due agenti di polizia della Questura di Udine. Accogliendo l’appello della Procura e riconoscendo così a tutti e tre l’accusa di falso ideologico ipotizzata dai magistrati udinesi in relazione a un’operazione antidroga, il collegio ha condannato l’allora vicequestore aggiunto Maurizio Ferrara e i due poliziotti Gennaro Ferraro e Yvon Cifaldi alla pena di un anno e due mesi di reclusione il primo e di otto mesi a testa gli altri due.

I giudici, presieduti da Igor Maria Rifiorati, hanno concesso il doppio beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel casellario ai soli Ferraro e Cifaldi. In aula, il sostituto procuratore generale Carlo Sciavicco per l’accusa e gli avvocati Gian Maria Pastega, del foro di Venezia (per il dirigente), e Federica Donda (per i due agenti) per la difesa.

Al centro del procedimento penale, il blitz che, il 1° luglio 2007, a Lignano, aveva portato a una serie di arresti per reati di droga. Al giudice del dibattimento, Mauro Qualizza, il pm Matteo Tripani - titolare dell’inchiesta insieme alla collega Claudia Danelon - aveva chiesto l’assoluzione di Ferrara da altre due ipotesi relative alla detenzione e alle minacce e la condanna invece a un anno e quattro mesi per quella di falso, con ciò calcolando anche l’aumento della recidiva.

Per i due agenti, concesse le circostanze attenuanti generiche, aveva proposto invece la condanna a nove mesi l’uno. Secondo l’avvocato Pastega, i tre imputati andavano assolti da tutte le accuse con la formula “perchè il fatto non sussiste”. Il verdetto aveva premiato la tesi difensiva: al termine di due ore di discussione e di una terza di Camera di consiglio, il giudice aveva ritenuto le accuse non sostenibili per insufficienza di prove.

Definito sia dalla pubblica accusa, sia dalla difesa un “processo delicato”, in quanto a carico di tre pubblici ufficiali, il procedimento era partito dalle dichiarazioni formulate in sede di udienza di convalida da Joannis Tilos, uno dei due corrieri della droga arrestati in flagranza di reato da Ferrara e da tre suoi agenti, a Lignano, nel parcheggio del Babylon, e confermate, un mese dopo, da Alessandro Battista, titolare di quello stesso locale e committente dell’acquisto della droga (200 grammi di cocaina).

Tutto aveva ruotato attorno alla discrepanza emersa tra quelle dichiarazioni, secondo le quali nel parcheggio, all’atto dello scambio, era presente anche Battista, e il verbale d’arresto compilato dai poliziotti e dal vicequestore che, anche nei successivi chiarimenti resi in Procura, avevano omesso d’indicare la presenza di Battista.

Nella ricostruzione fornita dalle parti nel corso dell’istruttoria dibattimentale, a fare da ago della bilancia era stata la testimonianza di un cliente del Babylon, che aveva affermato di avere assistito alla scena dell’appostamento e di ricordare di avere visto Battista all’interno del locale, fino al momento dell’arresto dei due corrieri, entrambi stranieri. Da qui, le diverse valutazioni dell’accusa e della difesa.

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