Bocciato il ricorso di don Fabbro: «GeTur non gli deve mezzo milione»

Il religioso riteneva di aver svolto un ruolo dirigenziale tra il 2000 e il 2010. La società si era opposta. Il giudice ha ritenuto illegittima la richiesta  

UDINE. Riteneva di aver fatto di più che fornire una supervisione morale e una preparazione etica degli operatori, come invece indicato nel contratto di collaborazione coordinata e continuativa che aveva firmato con la GeTur Monsignor Luigi Fabbro, per il periodo compreso tra il 2000 e il 2010, sosteneva infatti di aver svolto un ruolo dirigenziale, in un rapporto di lavoro subordinato, “mascherato” da un fittizio “Co.Co.Co.”.

Non l’ha pensata alla stesso modo il giudice del lavoro Marina Vitulli, che ha rigettato la richiesta avanzata dal religioso di oltre 500 mila euro – quale differenza retributiva maturata e non corrisposta in base al Contratto collettivo nazionale del lavoro di categoria, comprensiva di Tfr e interessi – in una sentenza pronunciata mesi fa e divenuta definitiva in questi giorni.

Don Fabbro, assistito dall’avvocato Luciana Criaco, aveva presentato ricorso il 7 luglio, circa cinque anni dopo la cessazione del rapporto con GeTur, storica società di emanazione dell’Ente friulano di assistenza (Efa) che gestisce centri e villaggi ricreativi estivi (attività che dal 2017 è svolta tramite il subentro di Bella Italia & Efa village).

In pratica, sosteneva di aver svolto dal marzo 2000 a settembre 2010 mansioni di direttore, rientranti nella qualifica dirigenziale delle aziende del settore terziario. Per un compenso di 1.500 euro mensili, aveva asserito di aver anche svolto il compito di sorveglianza nei cantieri impegnati nella costruzione e ristrutturazione di edifici nei villaggi turistici sociali di Lignano Sabbiadoro e Piani di Luzza.

Un impegno che, a suo dire, lo coinvolgeva per dieci ore al giorno, assoggettato alle direttive aziendali, senza la possibilità di godere delle ferie, e del quale doveva riferire al Cda. Per tutte queste ragioni aveva chiesto una somma pari a oltre 506 mila euro.

Ge.Tur, rappresentata dai legali Marco Zanon e Giuseppe Dussin dello studio BM&A, aveva da parte sua sostenuto l’infondatezza della richiesta di monsignor Fabbro, che sottolineava essere primo firmatario tra i fondatori GeTur, di cui era stato al comando nei 23 anni successivi, ricoprendo tutte le cariche di vertice.

Convinta della genuinità del rapporto di collaborazione, la società aveva negato l’esercizio di un potere direttivo del Cda e l’esistenza nell’organigramma della figura di direttore generale, ravvisando però come il ruolo di don Fabbro potesse essere configurabile in quello di amministratore di fatto.

La causa di lavoro si è chiusa con escussioni testimoniali e uno scambio di memorie iniziali e finali. Il giudice Vitulli ha dunque ritenuto di dover respingere la domanda del ricorrente, disponendo però la compensa tra le parti delle spese di giudizio. «Trova così conferma – chiosa l’avvocato Zanon – la correttezza della gestione del presidente di GeTur, Giancarlo Cruder».

«La continuità del rapporto con GeTur – specifica l’avvocato Criaco – aveva fatto nascere il dubbio che il contratto di collaborazione coordinata e continuativa non fosse genuino. Il mio assistito voleva fossero accertate e inquadrate le sue mansioni di dirigente, anche a fini pensionistici. Il giudice – conclude – in mancanza di prove evidenti ha rigettato la richiesta, ma il mio cliente non è stato condannato al pagamento delle spese processuali, qualche dubbio c’era...». —
 

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