Buco alle Dogane, condannata l’ex cassiera: dovrà restituire mezzo milione di euro

UDINE. L’ammanco nella Tesoreria dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di Udine è provato, ma la responsabilità penale dell’unica indagata, l’allora cassiera principale Anna Levan, 59 anni, di Pasian di Prato, ancora no.
Eppure, anche in assenza di una spiegazione sulla fine fatta fare al denaro, secondo la Corte dei conti la colpevole è lei. Ed è lei che dovrà quindi risarcire il danno erariale procurato all’amministrazione, a titolo di dolo, per un totale di 485.578,14 euro.
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Ulteriori 60 mila euro saranno versati da Graziella Peressini, 62enne di Udine, in qualità di ex responsabile dell’Area gestione tributi e ricevitore capo, a titolo di colpa grave, per non avere vigilato sull’operato della collega. Identica contestazione era stata mossa al suo successore Marco Bressan, pure 62enne e di Udine, che l’estate scorsa, con l’assistenza legale degli avvocati Vincenzo Cinque e Barbara Zampolli, aveva chiesto e ottenuto di definire il giudizio con rito abbreviato e, quindi, con il versamento della somma ridotta di 22.853 euro.
La sentenza che ora chiude il caso anche per le altre due dipendenti - almeno in primo grado -, è stata depositata martedì 20 febbraio.
Era stata una denuncia della Direzione interregionale di Venezia, nel giugno 2014, a mettere in moto la Procura. Coordinata dal pm Luca Olivotto, l’inchiesta aveva calcolato il buco in 712.941,62 euro e ipotizzato a carico della sola Anna Levan, che dell’ufficio era stata responsabile dal 16 dicembre 2006 al 16 marzo 2014 - quando fu spostata ad altro incarico - il reato di peculato.
«Pur essendo stato possibile accertare con puntualità quanti e quali assegni e quanto i cassieri delle sezioni hanno versato alla Cassa principale – scriveva la Direzione, all’esito della verifica straordinaria condotta negli uffici di via Gorghi –, non è stato possibile “tracciare” gli stessi valori nella fase di versamento alla Tesoreria provinciale dello Stato, non risultando custodite agli atti dell’ufficio tutte le relative distinte di versamento compilate dal Cassiere o dal Ricevitore principale».
Del denaro affluito dalle varie Sezioni tesorerie territoriali (Sot), insomma, neppure un centesimo era risultato poi arrivato alla Banca d’Italia.
Delegata delle indagini, la Guardia di finanza aveva quindi proceduto alla perquisizione delle postazioni di lavoro e delle abitazioni di Pasian di Prato e Taipana della dipendente, sequestrando diverso materiale.
Il procedimento penale è tutt’ora pendente ed è per questo che l’avvocato Luciana Criaco aveva chiesto, in via preliminare, la sospensione del parallelo processo contabile, osservando anche come l’organo requirente non avesse provato la riferibilità alla propria assistita delle irregolarità e delle appropriazioni contestate.
Nel respingere la domanda, il collegio presieduto da Paolo Simeon aveva escluso «un’ipotesi di pregiudizialità giuridica tra la vicenda penale e l’odierno giudizio di responsabilità amministrativa».
Numerosi, di contro, gli «elementi indiziari» che la Corte dei conti ha ritenuto in grado di confermare la ricostruzione accusatoria. E cioè che la Levan si sia appropriata del denaro che affluiva alla Cassa principale, «“coprendo” gli ammanchi mediante prenotazioni di versamento per importi superiori a quelli disponibili che, ad avvenuto controllo, provvedeva ad annullare, per poi effettuare nuove prenotazioni per importi che, effettivamente, versava in Tesoreria, ricevendone quietanza».
Tutte «anomalie – scrive il consigliere relatore Giancarlo Di Lecce – rimaste prive di ogni giustificazione» e che la difesa aveva invece affermato «non essere mai emerse» tanto nel corso delle verifiche periodiche, quanto nel passaggio delle consegne tra la Peressini e Bressan.
La sentenza, che addebita alla dipendente - a tutt’oggi regolarmente in servizio, ma in altra sede - 423.285,09 euro, quale danno derivante dalla differenza tra le somme riscosse e non riversate in Tesoreria, e 62.293,05 euro, per i costi sostenuti dalle Dogane per l’accertamento dei fatti, sarà impugnata.
Ha beneficiato del regime della “responsabilità sussidiaria”, invece, la collega Peressini, difesa dagli avvocati Alessandro Tudor e Manuela Nodale e per la quale la Procura contabile aveva chiesto la condanna a 165.038,11 euro.
Detto della «mancata adeguata sorveglianza», i giudici hanno determinato il danno a lei ascrivibile nella misura del 30 per cento dell’ammanco calcolato nel periodo in cui ricoprì l’incarico di responsabile dell’area (dal 2006 al 2012), optando per una riduzione dell’addebito in considerazione «delle altre numerose incombenze di cui era gravata».
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