Buon compleanno Buffon: il portiere-leggenda compie 90 anni

La leggenda ti accoglie all’ingresso della villetta costruita a inizio anni ’60 con i soldi di un anno di ingaggio all’Inter nel 1962 o giù di lì. Il cartello parla chiaro: “Area sorvegliata”. «I ladri qui incombono sempre». In giardino spunta una bandiera del Milan, i colori sono sbiaditi. «Ma io sarò milanista per sempre e in giardino ci sono altre tre bandiere. Il Milan è nel mio cuore, anche se ora va male e per la rabbia non ho rinnovato l’abbonamento a Sky. Ma prima o poi torneremo in alto».
Lorenzo Buffon è alto 1.90, sta meravigliosamente bene, è uno dei più forti portieri della storia del calcio mondiale. Giovedì, 19 dicembre, compirà 90 anni. Ti guarda con quegli occhi azzurri carichi di gratitudine per quel pallone che l’ha fatto salire sull’ottovolante quando, nel dopoguerra, anche a Latisana si faceva fatica a mettere insieme il pranzo con la cena.
Entriamo in casa. La gentile signora Loredana, orgogliosa, ci mostra i quadri dipinti in sessant’anni dal marito. E le cartoline di auguri di Natale, anni ’60, che Lorenzo riceveva dai tifosi, da tutto il mondo. Solo quelle varrebbero il motivo della visita.
Si siede Buffon. E si agita. Invita continuamente la moglie, che chiama scherzosamente «la mia segretaria», ad andare a prendere vecchie fotografie. Ne spuntano centinaia da vari scatoloni. Foto con Rivera, Di Stefano, Nordhal, Liedholm, Facchetti, Suarez, Jair, Burgnich, Helenio Herrera, i leggendari Milan e Inter degli anni ’60. E tanti altri. «Lo riconosci questo?», ci fa. È un giovane Marcello Mastroianni. «Era un amico», dice la leggenda.
Buffon inizia. Da un suo quadro. Ecco là il ritratto che ho fatto a mio padre e mia madre. Alessandro, classe 1903, andò a lavorare in Francia, in fabbrica. Partì da Susans di Majano. Anzi, approfitto per salutare tutti i parenti e amici che ho là. Mia mamma Rosa era di Pertegada, i miei si conobbero in Francia. Quando avevo tre anni tornammo in Italia e iniziai a frequentare l’oratorio di Latisana».
Il calcio? Il portiere? «Merito di Pre Giovanin Martinis. Ero bravo anche fuori dai pali, ma siccome mi dilettavo a disegnare le Madonne un giorno mi disse che ero perfetto per andare in porta e prendere meno gol. «Ebbi un grande maestro, Miro Gremese, di Udine. Andai poi al Portogruaro allenato da Felice Arieti».
Poi il 1949, l’anno di Superga. «Una tragedia immane. Fu l’anno della svolta per me. Mi chiamarono all’Udinese per un provino. Mi scartarono perché dicevano che con il mio metro e 90 ero troppo alto, io che tifavo e sempre tiferò anche Udinese. Pochi mesi dopo chiamò il Milan. Nel viaggio in treno verso Milano, con la mia valigia di cartone, sognavo a occhi aperti».
Parla di Milano, della sua grande occasione della vita il sognor Lorenzo, anzi la leggenda Lorenzo, e ancora si emoziona.
«Mi presero. Ero il quarto portiere. Quattro-cinque mesi dopo si avvicinò a me Liedholm e mi disse: “Lorenzo, tu anienica jocare”. Non era lui l’allenatore, ma contava come un allenatore. Milan-Sampdoria 5-1 , dal mio Friuli a San Siro in poche settimane».
Quello scudetto lo vinse la Juve. Ma il cambio di testimone sulla linea Torino-Milano era già scritto. E accadde anche per merito di Buffon. La città era il simbolo del boom economico, gli italiani si aggrappavano al ciclismo («Sono stato un Coppiano di ferro», dice il portiere) e al calcio. San Siro aveva un solo anello, durante l’era Buffon sarebbe triplicato. Scudetto, altro scudetto. Ne vincerà quattro con i rossoneri targati Gren-Nordhal-Liedholm. Poi quello all’inter di Herrera nel 1963. «Nordhal era impressionante, aveva un tiro incredibile». Racconta, racconta. Racconta come conobbe Edy Campagnoli, la celebre valletta di Mike Buongiorno, che nel 1958 sposò facendo parlare tutti i rotocalchi, di fatto precursore di una lunga serie di storie d’amore tra calciatori e donne di spettacolo. «Fermo là - chiarisce - io non ero tipo da locali notturni e altro altrimenti non avrei giocato 15 anni in serie A. Edy veniva a vedermi a San Siro da ragazzina, la mandavo a casa a studiare. Cinque-sei anni dopo ci incontrammo di nuovo, era cresciuta, non la riconobbi».
Undici anni di matrimonio, poi il divorzio, uno dei primi in Italia. Una figlia, Patricia, che a Latisana ora arriva da Milano a trovare papà molto spesso.
Scudetti. Ma non Coppa dei Campioni. «Nel 1958/1959 giocai tutte le partite, Gipo Viani improvvisamente mi mise fuori squadra per la finale con il mitico Real Madrid. Perdemmo 3-2 e per molto tempo non mi sono dato pace».
Ma il rammarico vero è un altro e si chiama Mondiale. Buffon è un portiere di livello internazionale. Nel 1955 viene nominato come miglior estremo difensore d’Europa, c’è una foto in cui difende la porta della rappresentativa continuentale e accanto a lui ci sono Kopa e Boskov. «Ma ai Mondiali 1962 del Cile con gli oriundi Angelillo, Sivori, Maschio eravamo più forti anche di Pelè e compagni. Con Germania e Svizzera vincemmo e la mia porta fu inviolata, ma tra le due partite con il Cile il ct fece un inspiegabile turnover: perdemmo e andammo a casa».
La parata più bella? No, una partita. Italia-Inghilterra 2-3. Gli azzurri vincevano 2-1 poi, in una delle sue spericolate, mitiche ed efficacissime uscite si ruppe il naso ed uscì. Vinsero gli inglesi. «Un giornale titolò sotto la foto del portiere friulano dolorante: “Con lui avremmo vinto”. La signora Buffon porta panettone, gingerino. Lorenzo sentenzia: «Il portiere più forte di tutti è stato il mio grande amico Lev Iashin, alto come me, un gatto, fortissimo». Il ragno nero. «Invece il mio sopramnnome era “tenaglia”».
Facile, manone da friulano, presa sicura. «Come quella dell’altro mio grande amico Dino Zoff, il più grande di tutti in Italia, un esempio dentro e fuori dal campo, come Liedholm. Poi, ora, Donnarumma è un fenomeno, Meret bravissimo, ma io faccio in genere il tifo per tutti i portieri friulani».
E oltre i portieri? La palma d’oro Buffon la assegna a tre giocatori immensi: Di Stefano, Puskas («altro amico, ci sentivamo sempre al telefono finchè la moglie mi disse che non riconosceva pià le persone», con gli occhi che si velano di tristezza») e poi Gianni Rivera, con cui ho giocato in Nazionale a anche con il Milan, in quella che fu l’amichevole-provino con i rossoneri quando ancora giocava all’Alessandria. «Ma una cosa ho sempre pensato e voglio ribadire: il calcio, lo sport devono uniore, non dividere». Basta violenza negli stadi, basta.
E Gigi Buffon? Figlio di un suo cugino? «Lo consigliai al Milan quando era ragazzino, lo scartarono, che peccato. Gigi è tra i grandi anche se farebbe bene a smettere».
Strabuzziamo gli occhi. Il vecchio cuore rossonero ruggisce: «Sì, non deve battere il record di Paolo». Il figlio di Cesare Maldini con cui al Milan compose una difesa insuperabile. Auguri leggenda.
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto