Calciatore ribelle e talentuoso, scrittore di saggi e romanzi: tutti i volti di Ezio Vendrame, il "Poeta" del gol

PORDENONE. Il “Poeta”, il “Kempes italiano”, come lo definiva Giampiero Boniperti, il “Pasolini del gol”, perché con il grande scrittore condivideva i luoghi dell'infanzia, Casarsa della Delizia, oltre a una grande passione, appunto, per la poesia. Genio e sregolatezza, l’antipersonaggio nel mondo dell’apparire, talentuoso in campo come forse nessun altro, ma anche totalmente allergico alle regole, al calcio dei miliardi, alle convenzioni del vivere moderno. Persino ai rapporti umani.
Tutto questo era Ezio Vendrame, uno dei più forti calciatori di tutti i tempi e sicuramente quello che, per propria e assoluta volontà, dal mondo del pallone ha avuto infinitamente meno di tutti rispetto a quanto meritasse. Se n’è andato la mattina del 4 aprile, nella sua casa di San Vendemiano, in provincia di Treviso, dove da qualche anno viveva con la moglie Fatima, sposata pochi anni fa. Di anni ne aveva 72 e da diversi mesi combatteva con un tumore al pancreas che non gli ha lasciato scampo, dopo essere stato ricoverato in vari ospedali del Veneto orientale.
Ha scelto di morire nella sua “tana” e forse non è un caso che l’abbia fatto proprio in questo dannato periodo di chiusura totale: di certo non avrebbe voluto cerimonie “pompose” e chiese affollate. Così se ne andrà nella solitudine che ha sempre cercato e desiderato. Sicuramente non è un caso neppure che se ne sia andato appena due settimane dopo Gianni Mura, uno dei pochissimi giornalisti che stimava per il suo scrivere schietto, libero, e a volte anche un po’ rude. Una delle rare persone che stimava nel mondo del pallone, come i suoi giocatori-idoli, George Best e Gigi Meroni, proprio come lui assoluti geni in campo, ma tutt’altro che ligi alle regole.
Chissà se ora, lassù, reindosserà le scarpette chiodate che nella sua esistenza terrena aveva imparato a detestare per quello che, qui, rappresentava quel mondo. Chissà se con Gigi e George scambierà quei palleggi d’arte che pochi fortunati hanno avuto il piacere di ammirare quando decideva di sfoderare la sua classe innata, sopraffina, inarrivabile, ma che per lui rappresentava una sorta di prigione.
Difficilissimo parlargli, incontrarlo, scambiare due chiacchiere con lui. Soprattutto per parlare di calcio. Proprio Mura nel 1995 riuscì a ottenere un’intervista. Vendrame lo aspettò al Cimitero di Casarsa, davanti alla tomba di Pasolini: «La gente di qui si è dimenticata di lui – disse -, come possono ricordarsi di me?». Aveva chiuso la carriera da professionista nel Pordenone calcio, poi aveva giocato qualche stagione tra i dilettanti nella sua Casarsa, quindi aveva cercato invano un po’ di “aria pura” nel pallone allenando i ragazzini sempre del Casarsa e della vicina Sanvitese. Aveva aperto pure un negozio di articoli sportivi. Ma non trovò mai pace e si autoescluse da tutto, pur avendo un figlio (avuto dalla prima moglie, conosciuta quando giocava nella Spal di Ferrara), il fratello Enzo e il papà Beppino, ex parrucchiere conosciutissimo in zona, che oggi ha 93 anni.
La sua libertà la cercò scrivendo poesie e libri, una dozzina tra saggi su un mondo in cui non riusciva a ritrovarsi. Tra i più famosi “Se mi mandi in tribuna godo”, titolo ripreso dalla spiazzante risposta che diede all’allenatore Luis Vinicio quando al Napoli lo tolse dall’undici titolare per motivi disciplinari. Sì, perché lui era solo anche tra gli 80 mila dello stadio San Paolo. Dal “tunnel” a Gianni Rivera, all’amicizia col friulano Zoff nata quando Ezio era tra i pochi a credere in lui, allo spettatore morto d’infarto nel vederlo di punto in bianco scartare tutti i propri compagni arrivando sino alla porta della sua squadra per fingere di fare autogol: la sua vita calcistica è stata anch’essa un romanzo.
“Esistono mulattiere segrete nei campi di calcio che ho visto percorrere palla al piede soltanto a Okocha, Denilson ed Ezio Vendrame”: così l’ha ricordato ieri su facebook il grande giornalista sportivo triestino Paolo Condò. Ecco, questo era il “Poeta”. Di cui per decenni si è sentita la mancanza. E ora si sente un bel po’ di più.
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