Caos Venezuela, la storia di Gary emigrato di ritorno: in Friuli per ripartire

UDINE. È scappato via dall’inferno un anno e mezzo fa, portandosi via la famiglia “a scaglioni” perché non aveva più soldi per il volo aereo, perdendo tutto: casa, attività, amici, patria. E anche la dignità: in Venezuela era un imprenditore, a Udine per campare fa il “porta a porta”.
Gary Querin, 47 anni, ingegnere industriale di Caracas, figlio di un emigrante friulano, racconta la sua amara vicenda dopo aver saputo dal nostro giornale dei suoi corregionali bloccati a Caracas. Friulani come lui che, impoveriti dal regime di Maduro e ormai allo stremo delle forze, vorrebbero tornare in Italia (almeno 200 ci stanno provando), ma sono bloccati dalle tirannie del presidente venezuelano.
Gary è stato più fortunato, perché oggi vive in un luogo civile, lontano dalla dittatura e dalle proteste del popolo che sono costate circa 30 morti solo lo scorso mese, ma ha pagato a caro prezzo la sua fuga.
«Mia moglie e mia sorella, entrambe laureate, fanno pulizie, quando trovano. Mia madre ha risparmiato sul cibo per mettere da parte i soldi necessari per recuperare il mio secondo figlioletto, rimasto a Caracas coi nonni materni per ben sette mesi. E per fortuna l’agenzia di viaggio di Udine dove abbiamo acquistato il biglietto aereo ci ha fatto il pagamento a rate. Il bambino era arrabbiatissimo con noi, pensava l’avessimo abbandonato».
A Caracas Gary aveva un’azienda di telefonia; lavorava per il governo venezuelano e gli affari andavano a gonfie vele. A Udine, dove era nato suo padre, geometra emigrato “per caso” negli anni Cinquanta in Venezuela, ci veniva in vacanza. «Papà viveva qui, poi andò a trovare mio nonno in Venezuela, dove lavorava nel settore del legname; durante la vacanza incontrò mia mamma, una bellissima spagnola. È tornato a Udine, con mia madre, solo dopo la morte di Chavez, aveva già una chiara visione di ciò che sarebbe accaduto».

La partenza per l’Italia è stata rocambolesca: code di giorni per ottenere dollari («Solo duemila e su carta di credito, niente contanti”) e documenti, la moglie incinta del terzo figlio (una bella bimba partorita poi senza problemi all’ospedale di Udine), i posti in aereo della compagnia di bandiera full. «Niente biglietti per l’Italia per mesi, mi dicevano. Allora passammo per la Colombia, mandai prima mia moglie e la prima figlia, io rimasi col bambino. Non avevo più soldi. Partii dopo, da solo, mentre mio figlio dormiva».
Una disperazione che si stenta ad immaginare in un paese ricco come il Venezuela, che per decenni ha accolto immigrati da tutta Europa e dalle Americhe ed oggi è alle prese con un regime violento che sta spazzando via ogni forma di diritto. «La nostra impresa è occupata. Ho contattato il mio avvocato, ma è scappato pure lui».
Una volta, dopo ore in coda al supermercato per comprare il latte ai bambini, dopo una fila di 500 persone la risposta della commessa fu: «Oggi abbiamo solo farina, olio e riso.
Per il latte torni domani, forse sul presto lo trova». Allora si formavano i “bagarini”: chi arrivava prima comprava e rivendeva agli altri 5 volte tanto. «Con uno stipendio acquistavo un chilo di carne, i nostri soldi non valevano più niente. Eravamo ormai alla fame».
La moglie non avrebbe potuto partorire a Caracas, a volte in ospedale mancava l’acqua. Della sanità Gary sa molto perché stava prendendo una seconda laurea, e durante il tirocinio di Medicina ha assistito a cose incredibili: «Una volta c’era un bimbo in crisi asmatica. Non avevamo farmaci. Gli demmo da respirare del vapore, non c’era altro. Stava malissimo, lo salvò non si sa come un medico cubano, abituato ad operare in emergenza. Ci disse che se non avevamo le medicine, allora dovevamo inventarci qualcosa. Qualsiasi cosa».
Gary è allegro e ciarliero, nonostante il dramma: pensava con ottimismo, una volta giunto in Italia, di sistemarsi entro un mese: «Gli aiuti li danno ai residenti con basso reddito, ma io non lo ero da abbastanza tempo. All’inizio ho lavorato a un call center per sei mesi, poi sono passato al porta a porta ma senza contratti, spesso manco mi pagavano.
Tutto ciò è mortificante. Ora faccio un corso di installatore di rete. Io chiedo solo di lavorare».
Di tornare in Venezuela, magari quando le tensioni diminuiranno e le rivolte popolari avranno la meglio su Maduro, non se ne parla proprio. «Mai più. Voglio far crescere i miei figli qui a Udine, nella città di mio padre, in libertà».
Intanto non si fermano e non si placano le proteste in tutto il Venezuela. Da quasi un mese le strade e le piazze di Caracas e di altre città sono teatro di pesanti scontri tra i cittadini, le forze di polizia e la Guardia Nazionale.
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