Caos Venezuela, paura per i friulani "prigionieri" in casa

Mancano medicine e le comunicazioni con l'estero sono difficili. Un Paese che sprofonda nella crisi e blocca i friulani all'interno dei confini nazionali

UDINE. «Abbiamo ricevuto telefonate in cui chiedevano come farsi recapitare i medicinali, ma gli ultimi contatti risalgono a un paio di settimana fa». Il presidente emerito dell'Efasce Luigi Lucchini e il presidente dell'Ente Friuli nel mondo Adriano Luci sono seriamente preoccupati per le vicende che i friulani vivono in queste settimane in Venezuela, dove le proteste nelle piazze contro il governo di Nicolás Maduro stanno dilagando e si stanno facendo più cruente.

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Il livello di tensione è sempre più alto, le vittime, secondo alcune stime, sono salite a 29. L’ultima è un ragazzo colpito in faccia da una granata con gas lacrimogeno durante una manifestazione indetta dall’opposizione a Caracas. Ieri il ministro degli Esteri Delcy Rodriguez ha annunciato il ritiro dall’Organizzazione degli Stati americani (Osa).

Da un mese le manifestazioni antigovernative sono all’ordine del giorno e hanno fatto scendere in piazza le classi più povere, quelle tradizionalmente più vicine al potere socialista – e un tempo all’ex presidente Hugo Chavez – , ma il clima di tensione si respira già dall'autunno dello scorso anno, da quando l’opposizione aveva raccolto le firme necessarie per promuovere un referendum sul capo dello Stato, accusato di aver generato la gravissima crisi economica che investe il Paese. Una consultazione popolare che però non è stata indetta.

«Siamo stati contattati da diverse famiglie del Pordenonese, soprattutto da Maracaibo, ci hanno chiesto come fare per ricevere le medicine che ormai nelle città venezuelane è impossibile recuperare – spiega ancora Lucchini – : nelle farmacie non si trovano e tutto quello che arriva in dogana viene sequestrato». E anche la scorsa notte, quando Caracas è stata nuovamente teatro di violente proteste, gruppi di giovani, dopo aver bloccato e invaso un’autostrada, hanno rubato il materiale medico da un’ambulanza.

Se anche non si teme per la vita dei corregionali, che godono comunque di condizioni più protette rispetto alla popolazione nativa più povera, gli scontri e gli omicidi generano comunque apprensione, il pericolo di finire nel mirino della criminalità è sempre in agguato.

«I nostri friulani, che ormai si sono stabiliti da molti anni in quest’area – prosegue l’architetto Lucchini, che per un lungo periodo ha vissuto in Venezuela – hanno importanti interessi, industrie e aziende, non soffrono la fame come la popolazione più povera e si sono adattati al clima di ruberie e malavita». Vivono con le guardie del corpo, racconta ancora il già presidente dell’Efasce, e difficilmente si trovano in situazioni delicate o compromettenti. Spesso la volontà di ritornare in Italia c’è, ma per molte persone significherebbe vanificare i sacrifici di una vita.

Nel frattempo si rincorrono le immagini e i video di strade avvolte dal fumo di fuochi appiccati e gas lacrimogeni, non si contano le sparatorie e i tentativi di saccheggio, gruppi di civili armati percorrono in moto le città venezuelane, mentre le diplomazie cercano una via di scampo dalla crisi.

«Prigionieri a casa propria». Così si sentono i friulani che vivono in Venezuela nelle parole del segretario dell’Ente Friuli nel mondo Cristian Canciani. Gli ultimi contatti diretti con gli iscritti al Fogolar Furlan risalgono a fine estate e si tratta, come precisa il segretario, dei più fortunati, quelli che riescono a farsi comprare il biglietto dall’Italia e tornare in visita dai propri parenti. «La situazione è drammatica – riconosce Canciani – : non vengono concessi visti, non possono cambiare valute, non ricevono alcuna corrispondenza dall’Europa e si trovano nel più totale isolamento».

I pacchi e la merce in arrivo dagli altri Paesi vengono sequestrati dalle dogane. I collegamenti sono difficili, anche la rivista del Fogolar Furlan, unico cordone ombelicale con la patria friulana in anni in cui la comunicazione digitale era ancora un miraggio, non arriva più a destinazione. Non hanno nemmeno la possibilità di ritrovarsi nelle associazioni e se vengono “pescati” in gruppo possono essere accusati di attività contro il governo in carica.

Caos Venezuela, le testimonianze dei friulani che non riescono a fuggire
(170427) -- CARACAS, April 27, 2017 (Xinhua) -- Supporters of Venezuela's President Nicolas Maduro take part in a march of Venezuelan youth in defense of peace and against violence, in Caracas, Venezuela, on April 26, 2017. Venezuela's Foreign Minister Delcy Rodriguez said Wednesday that the country would leave the Organization of American States (OAS). Venezuela has been racked by a political and economic crisis, which has spiralled into clashes between government and opposition supporters in April, leaving at least 29 people dead. (Xinhua/Gregorio Teran/AVN) (fnc) (ce) (gj)

«I nostri iscritti al Fogolar Furlan hanno riferito che è impossibile riunirsi: l’associazionismo di matrice straniera viene considerato eversivo – osserva il segretario dell’Ente – , tanto che la nostra sede di Caracas, come le altre sparse nelle principali città venezuelane, è stata chiusa».

Consapevoli del disagio che vivono i friulani in Venezuela, le associazioni hanno però le mani legate: «Non possiamo fare nulla – si dispiace Canciani – , si attivino i nostri rappresentanti diplomatici».

Terra di emigrazione per tanti friulani, che dopo la fine della seconda guerra mondiale erano partiti alla volta di Argentina, Canada, Australia, ma anche Venezuela, questo Paese per anni ha vissuto una situazione felicissima e poi è caduto in una crisi profondissima. «Appare difficile comprendere come una realtà ricchissima, in cui tutti avrebbero potuto stare bene, viva ora questa condizione – riflette Lucchini – . Gli ultimi governi hanno portato corruzione e ruberie e il popolo è rimasto solo a combattere e morire nelle piazze».

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