“Cappelli alpini persi e trovati”, un gruppo raccoglie gli appelli di distratti o derubati

Una penna nera di Sacile ha riconosciuto il suo, sparito durante l’adunata di Milano, e lo ha potuto recuperare 

il caso

Alessandro Cesare

Per un alpino il cappello è un’estensione del suo corpo. È un simbolo, un segno distintivo, un motivo di orgoglio. Per chi l’ha conservato dai tempi della naja o addirittura dagli anni della guerra, ha un valore affettivo più che storico. Per qualche furbetto, però, può rappresentare un oggetto di grande valore e un motivo di guadagno. Ecco perché ogni anno, all’adunata nazionale degli alpini, sono centinaia i cappelli che spariscono. Qualcuno viene semplicemente dimenticato, ma altri sono rubati per essere rivenduti on line. E i prezzi, per un cappello degli anni 40, superano i 500 euro sulle principali piattaforme di vendita on line. Un vero e proprio mercato parallelo, che si alimenta soprattutto dopo le adunate. E quella di Milano non ha fatto eccezione. Stavolta, però, proprio sfruttando la “forza” dei social, è stato creato il gruppo Facebook “Cappelli persi e trovati”, dove in migliaia fanno annunci o appelli.

«Il fenomeno – conferma Dante Soravito, presidente dell’Ana di Udine – è in preoccupante aumento». Oggi però, rispetto al passato, quando l’unico canale ufficiale delle penne nere per poter recuperare il loro amato cappello era la rivista “L’Alpino”, c’è internet a dare una grossa mano, e in particolare i social network. Non soltanto ci sono gruppi dedicati ai cappelli persi o ritrovati, ma diversi sono i post che appaiono anche nelle pagine delle singole città, con appelli e richieste di aiuto. Uno degli ultimi casi ha coinvolto una penna nera di Sacile. Si tratta di Ermes Zanette, che il 12 maggio era in trasferta per l’adunata. L’annuncio del ritrovamento è apparso su Facebook e grazie alle centinaia di condivisioni, frutto dello spirito alpino, il proprietario l’ha riconosciuto riuscendo a recuperarlo. «Trovato domenica a Trento vicino al fiume Adige, si cerca il proprietario», questo il contenuto del post. Pochi giorni ed ecco la risposta di Zanette: «È mioooooo, grazie di cuore. L’ho appoggiato sulla macchina e l’ho dimenticato».

Una storia a lieto fine, ma non sempre è così. È ancora senza esito, per esempio, l’appello lanciato dalla figlia di un alpino, che ha avuto una rilevanza nazionale grazie a radio Deejay. «Mio papà ha perso il cappello a Milano. Aiutatemi e trovarlo. Per lui è tutto». Viste, dunque, le molte richieste pervenute, gli organizzatori dell’adunata di Milano hanno deciso di aprire un gruppo ufficiale, chiamato appunto “Cappelli persi e trovati”. «Il cappello utilizzato nel periodo della naja, per un alpino, è un oggetto sacro, una vera reliquia – ha chiarito Soravito –. Purtroppo sempre più spesso nei luoghi affollati, quando lo si appoggia da qualche parte, c’è qualcuno con la mano lesta che lo porta via. Basta un attimo di distrazione. Ci sono anche furti negli accampamenti degli alpini, con vere e proprie razzie nelle tende».

Il cappello di un alpino è diverso da quelli messi in vendita sulle bancarelle durante le adunate e anche per questo il suo valore è notevolmente superiore. —



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