Cardiologia, in pensione il primario Proclemer: «Siamo stati pionieri dei trattamenti in rete»

UDINE. Non è la solita esagerazione retorica. Con il pensionamento del dottor Alessandro Proclemer, si chiude un’epoca per la cardiologia udinese. Classe 1953, il professionista friulano rivendica di aver vissuto tra le corsie «due terzi della storia della struttura operativa complessa (Soc) di cardiologia», nata nel 1959 con il professor Giorgio Feruglio, di cui Proclemer è stato orgoglioso allievo. Dopo la laurea nel 1978 (il 19 luglio, a Trieste, stesso luogo e stesso giorno di un altro professionista che lascia Udine, il neurochirurgo Miran Skrap), Proclemer ha iniziato la propria carriera ospedaliera l’anno dopo.
Fu amore a priva vista, in pratica.
«Ed è stata una storia che è durata per quarant’anni, con l’unica parentesi di sei mesi nel 2000, quando ho assunto il ruolo di primario della Soc di cardiologia dell’ospedale di San Vito al Tagliamento. Ho avuto il grande privilegio di ricoprire tutti i ruoli: tirocinante, assistente, aiuto, responsabile della struttura operativa semplice di Elettrofisiologia, lavorando nel reparto nato con il professor Feruglio per due terzi della sua storia».
Dal 2009 e fino a domenica scorsa ha poi diretto il reparto: di fatto, l’amministratore delegato di un’azienda di medie dimensioni.
«Una delle strutture più grandi dell’ospedale per numero di addetti, 127 in tutto tra medici, infermieri, tecnici. Personale che oggi mi sento di ringraziare per la dedizione e la passione dimostrate. Sono circa 3 mila i pazienti che vengono sottoposti a procedure di cardiologia interventistica, emodinamica ed elettrofisiologia, nel nostro ospedale e 2 mila sono i ricoveri nella cardiologia e nell’unità coronarica».
Un reparto che è stato costantemente al passo con i tempi. All’avanguardia persino, in diversi campi.
«Come staff cardiologico abbiamo costantemente cercato di trasferire nei tempi più rapidi possibili le conoscenze che la cardiologia ha ottenuto su scala internazionale. In questi anni ho visto applicare alla realtà udinese tutti gli avanzamenti della cardiologia moderna dai trattamenti dell’infarto miocardico acuto a quelli dello scompenso cardiaco avanzato, a quelli delle aritmie complesse tramite ablazione e impianto di defibrillatori».
La riforma sanitaria, accentrando alcuni servizi, affida alle strutture più attrezzate il ruolo di riferimento territoriale.
«È un approccio corretto. Si tratta del cosiddetto modello hub and spoke, che noi come cardiologia abbiamo sperimentato a partire dal Duemila, grazie all’attivazione di un sistema molto forte di collaborazione tra le strutture periferiche e il centro. In periferia può avvenire la fase di approccio al paziente cardiopatico, a cui segue una seconda fase prerogativa dell’ospedale hub, dove si possono fare determinate terapie. Il modello, tuttavia, deve essere bidirezionale per essere efficace e consentire un ritorno alla periferia del paziente».
Nel suo personalissimo diario c’è un traguardo a cui tiene particolarmente?
«Ricordo il primo paziente sottoposto a defibrillatore, nel 1989, ormai trent’anni fa. E aggiungerei anche le prime operazioni di ablazione transcatetere, 25 anni fa, e di applicazione della valvola cardiaca percutanea, dieci anni fa: con questo intervento, oggi, siamo in grado di dimettere il paziente dopo quattro-cinque giorni».
In pensione da una settimana, ha salutato i suoi colleghi con un seminario: in attesa del concorso, al suo posto è stato nominato come facente funzioni il dottor Domenico Facchin. Cosa c’è nel suo futuro?
«Questa è la domanda più difficile dell’intera intervista. Mi sono preso qualche settimana di tempo, devo chiarire le idee: intanto mi dedico a mia moglie Alessandra, insegnante allo Stringher, e ai miei figli Alberto, cardiologo a Pordenone, e Giovanni, responsabile finanziario in un’azienda udinese».
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