Carlo Giuffré: «Verso l’addio ma senza teatro che faccio?»

Il grande attore a 84 anni sta meditando di ritirarsi dopo 64 stagioni in scena. Stasera sarà a Tolmezzo con “Questi fantasmi!” di De Filippo. «Cominciai con lui»

TOLMEZZO. Non è un sì convinto, più un forse dubbioso. «A 84 anni si potrebbe pure smettere, ma senza teatro che faccio?». Quell’«addio alle scene» di Carlo Giuffré si fa leggere. O meglio si fa scrivere. Tra il dirlo e l’abbandonare per davvero . casa - dopo sessantaquattro stagioni non è solo un palcoscenico - ci corre in mezzo una lunga pensata.

«Se mi volto indietro vedo tutto. Non mi pare manchi qualcosa. Sette commedie di Eduardo. A parte Filumena Marturano l’ho onorato a dovere. In un decennio con l’indimenticata compagnia dei Giovani (De Lullo, Falk, Valli, Buazzelli, ndr), mi scritturarono dopo le prime mosse con De Filippo, poco o nulla ci lasciammo sfuggire. Nessun rimpianto, nessun rimorso. Lo amo troppo il teatro per fargli uno sgarbo simile».

Depositiamo il domani da qualche parte e affrontiamo l’oggi. E stasera si salirà a Tolmezzo, al Candoni. Questi fantasmi! vedremo all’aprirsi del sipario. A cura dell’Ert. Se fosse cinematografo diremmo un cult-movie.

- Giuffré, magari è un caso che abbia scelto proprio questa di commedia. Alla fine dei Quaranta lei scappava dall’Accademia per intrufolarsi all’Eliseo. E in cartellone c’era...?

«Eh sì, Eduardo c’era. Con Questi fantasmi!, certo. Vedevo e rivedevo. S’imparava tanto pur stando in platea. La lezione serale, ecco. Finché il maestro mi chiamò. Una piccola parte recitata dietro le quinte. Voleva uno che parlasse bene l’italiano. Essendo io studente dell’Arte Drammatica si supponeva avessi una dizione precisa».

- La chiusa, come si dice in gergo, è perfetta.

«Sa di inizio e di fine coincidenti, in un certo senso. Se trovassi un testo folgorante, mah, potrei ripensarci. Altrimenti... altrimenti vedremo».

- Il Friuli le dice qualcosa in sessant’anni e rotti di pellegrinaggio teatrale?

«Sembra fatto apposta, ma è così. Anni fa a Tolmezzo, guardi. Ricordo un’accoglienza meravigliosa. Con tanto di regalo personalizzato. Un pubblico caldissimo. Insomma, felice di ritornare».

- Qual è il trucco della prosa? Chi la fa vive a lungo. E diciamo Giuffré, Gianrico Tedeschi, ben oltre novanta, Franca Valeri (è del 1920) e tanti altri. Ernesto Calindri recitò novantenne fino all’ultimo respiro...

«Facile. L’attore vive due volte. Per se stesso e per il personaggio che interpreta. Due anime in una allunga l’esistenza. E io continuo a prendermi cura del mio alter ego, sa. Al punto da correggerlo spesso. Si dice work in progress, vero?».

- Si è mai pentito di un no?

«Di uno sì. Dissi no a Monicelli che mi voleva per Amici miei. “Sei uno stronzo”, concluse così la telefonata».

- E come mai? Rifiutò, intendiamo.

«C’era una scena idiota. Uno dei protagonisti doveva farla nel vasino di un bimbo. Non mi andava proprio giù. So di aver fatto un grande torto a Pietro Germi».

- Nel senso?

«Fu Germi a passare a Monicelli la storia. E fu Germi a insistere: “E su, via, accetta Carlo; Mario ne farà un capolavoro”. Niente. Nemmeno lui riuscì nell’impresa».

- Torniamo a Questi fantasmi!. Eduardo, si narra, confessò: “Fra cinquant’anni nessuno riderà più con questa commedia”. Ora ci siamo. Dunque?

«È storia amara, ambigua con l’equivoco in agguato. Si ride a denti stretti. Ma soprattutto si esalta l’ambiguità. E come soggetto universale è impeccabile».

- Qualche decennio è bastato a far sparire le grandi compagnie dall’Italia. Adesso la crisi, va be’, ma ieri?

«Non abbiamo una forte identità drammaturgica. Commedia dell’arte e melodramma, va bene. Goldoni, Pirandello, De Filippo. Basta. Pirandello divenne poi drammaturgo; nasce filosofo, giusto per puntualizzare. Si aggiunga l’impossibilità odierna di allestire uno spettacolo. Sopravviviamo da squattrinati».

- Almeno al cinema...

«Per questo ne ho fatto tanto. Soldi. Che poi ho reinvestito nel teatro».

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