Casarsa, la vita “pericolosa” di Diego Bortolin: «La mia avventura piena di Tentazioni»

«Non volevano darmi la licenza, poi volevano farmi chiudere. Ce l’ho fatta, ho 84 negozi. In 41 processi sempre assolto»

CASARSA. Ha sfidato quello che una volta si chiamava “il comune senso del pudore” con il primo sex shop a Casarsa. Diego Bortolin, patron de “Le Tentazioni” si racconta alla vigilia dei festeggiamenti. Oggi vive in Austria e ha passato la gestione dell’impresa ai figli.

Come è cominciata questa avventura imprenditoriale?

«Dall’età di 15 anni facevo il fornaio in un panificio a Porcia assieme alla mia famiglia. A 21 anni ho deciso di cambiare vita, si guadagnava bene, ma troppi sacrifici. Ho fatto domanda per gestire il forno crematorio in progetto a Pordenone, e nel frattempo io e mia moglie Marina abbiamo fatto anche domanda per aprire un sex shop. Ho superato gli esami a Roma per la categoria merceologica. Poi ho scoperto che questa tabella a Pordenone non esisteva. Ho dovuto minacciare di fare uno scandalo, tutto si è risolto».

Perché Casarsa per il primo negozio?

«Casarsa era il luogo perfetto, al centro di un ampio territorio. Ho fatto domanda in Comune e il sindaco Angioletto Tubaro mi ha chiamato urgentemente, supplicandomi di cambiare paese. Un altro guaio: la domenica devo aprire il negozio, ma non mi era arrivata la merce. Era ferma in dogana. In più, non avevo la licenza, solo il permesso della questura».

E quindi?

«Sono andato in Comune il giovedì. Niente, mi dicono che avevano la macchina da scrivere rotta. Il venerdì mi sono piazzato in municipio e alle 16 mi hanno consegnato il documento».

E dopo?

«Altri guai. Il comandante dei carabinieri mi ha promesso che mi avrebbe fatto chiudere. E ancora la merce non c’era. Siamo partiti per Bergamo, in dogana l’abbiamo ritirata, e, aiutati da due amici, abbiamo passato la notte precedente all’apertura a prezzare tutta la merce. È stata una inaugurazione stupenda, con forze di polizia schierate in borghese e per fortuna che c’erano loro: troppa gente, non riuscivamo a far entrare tutti. Un’apertura da record».

Poi è filato tutto liscio?

«Siamo partiti in sordina, il lavoro non era molto. Speravo nella Sagra del vino e mi ero detto che se mi avesse portato bene continuavo, altrimenti chiudevo. Alla viglia sono arrivati i carabinieri che mi hanno perquisito negozio e casa. Non trovando niente se ne sono andati. In negozio, invece, mi hanno sequestrato tutta la merce. Mi sono sentito rovinato, ma il mio avvocato mi ha consigliato di ricomprare la merce. E nel frattempo la mia storia ha avuto anche un ritorno mediatico, una grande visibilità. Da quel giorno ho cominciato a vendere e subito dopo il tribunale mi ha assolto: è decaduto la denuncia di offesa al pudore, ma non senza far sorridere tutta l’aula del tribunale quando è stato letto il verbale dei carabinieri con l’elenco di tutti i prodotti sequestrati. E alla fine anche la Cassazione mi ha dato ragione».

Il trasfermento vicino alle scuole ha suscitato polemiche: cosa accadde?

«Dopo tre anni, ho acquistato due locali delle ex Poste vicino alle alle scuole. Metto il cartello: “prossima apertura di sex shop” e succede il finimondo: proteste e raccolte di firme. Il Comune mi dice che non posso farlo, allora io chiedo tutte le firme e minaccio di denunciare uno a uno tutti i sottoscrittori della petizione. La Regione addirittura approva una legge che stabilisce che tutti i sex shop devono stare a 400 metri da ogni luogo sensibile. Ma non era retroattiva e, quindi, inapplicabile».

Il vostro è l’impero del sesso in franchasing: come ci siete attivati?

«È stata un’idea di mia moglie Marina. Oggi i negozi sono 84. Ogni Comune, una storia. E ho subito 41 processi: sempre assolto con formula piena».

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