Casarsa, viaggio nella caserma “Trieste”, l’ultimo baluardo della guerra fredda

CASARSA. All’ingresso della caserma Trieste di Casarsa c’è un albero, nato e cresciuto negli anni dell’abbandono: la cima sfiora un vecchio lampione della luce. Crescerà ancora e ad avere la peggio sarà sicuramente il vecchio lampione.
È la rappresentazione di quanto sta accadendo nella caserma che si trova lungo la Pontebbana, che con i suoi poco più di 11 ettari era la seconda più grande in Italia dopo la Cecchignola di Roma: la natura ne sta riprendendo possesso della struttura dopo che l’uomo, che l’ha vissuta per oltre 100 anni, ha abbandonato l’ultimo baluardo della guerra fredda.
Verde e magazzini e edifici lasciati a se stessi nella struttura che non è ancora stata dismessa dall’esercito, ma è ufficialmente “non attiva”: chiusa, senza manutenzione e pulizia, se non l’obbligo per il V Rigel vicino di garantire la sicurezza dei luoghi.
La visita nella caserma, inutilizzata dal 2007, avviene tra rovi e alberi cresciuti in ogni dove, nonostante la superficie della Trieste sia coperta quasi interamente da asfalto e cemento, misura adottata allora per facilitare il transito dei carri armati.
Gli edifici sono ancora lì, a testimonianza della storia gloriosa della caserma che, nei tempi d’oro, accoglieva dai 3 ai 4 mila giovani, provenienti da tutta Italia per il servizio di leva. E che faceva il motivo di notorietà per Casarsa: Pier Paolo Pasolini e il vino certo, ma anche la Trieste.
Nell’autorimessa oggi c’è ancora il cartello dove si indicava al personale cosa dovevano fare prima che ogni mezzo usciva. Unica testimonianza di un lavoro svolto per decenni. La natura, un centimetro alla volta, si sta riprendendo tutto. Tanto che alcuni edifici, nella parte centrale, sono pericolanti e l’amministrazione militare ne ha deciso la demolizione.
La nota positiva c’è: è nell’ex deposito carburanti e olio esausto. Prima di lasciare la caserma, le cisterne sono state svuotate e lavate, così come il deposito dove si cambiava l’olio ai mezzi.
Dei 12 capannoni, uno ospitava i droni del “Sorao”, l’ultimo gruppo di militari che ha abitato la caserma, trasferito nel Lazio nel 2007. Era in fase di ristrutturazione, ma questa è rimasta a metà: appena arrivato l’ordine di trasferimento, i lavori sono stati interrotti. Lo testimonia il pavimento in cemento ancora grezzo.
Chiusa anche la palazzina che ospitava gli uffici del comando e alcuni alloggi, mentre per arrivare all’edificio del circolo ufficiali e degli uffici del comando di comprensorio bisogna letteralmente avventurarsi tra rovi e erba alta. È ormai tutto abbandonato e nel degrado. In lontananza si nota la casa di colore rosso dove abitava il comandante nella caserma: abbandonata, nonostante architettonicamente sia un edificio gradevole.
Le ultime autorimesse rivelano ancora qualcosa della storia della caserma: nella prima è stato dipinto il motto “Ferrea molte ferreo cuore”, testimonianza del passaggio della brigata Ariete. Su una porta, due calendari di donne poco vestite, datati 2005.
Le autorimesse si presentano come lunga fila di grandi stanzoni, separati da cancelletti. E sono questi a svelare un’altra curiosità: sono diversi l’uno dall’altro. Un tempo la caserma aveva anche un piccolo laboratorio fabbrile e i militari hanno contribuito con un po’ del loro gusto a dare una nota di originalità a un luogo che, altrimenti, sarebbe grigio e uniforme.
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