Caso "centro stupri", cosa sappiamo dell'inchiesta: ecco chi sono gli indagati e di cosa sono accusati

Otto, per ora, quelli iscritti sul registro degli indagati, nell’ambito di un’inchiesta che, al momento, ipotizza per tutti, indistintamente, i reati di istigazione a delinquere e propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa. Ma che potrebbe presto evolvere, coinvolgendo un numero più ampio di persone e precisando ruoli e responsabilità

UDINE. Il fascicolo aperto dalla Procura di Udine dopo che nei giorni scorsi un gruppo di amici aveva esibito in pubblico la scritta “centro stupri” e diffuso poi le relative immagini attraverso i social non è più a carico di ignoti. Da ieri si conoscono quindi i nomi dei ragazzi che gli inquirenti ritengono possano essere chiamati a rispondere penalmente dell’iniziativa e del bailamme che la stessa scatenò sui canali instagram e twitter.

Otto, per ora, quelli iscritti sul registro degli indagati, nell’ambito di un’inchiesta che, al momento, ipotizza per tutti, indistintamente, i reati di istigazione a delinquere e propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa. Ma che potrebbe presto evolvere, coinvolgendo un numero più ampio di persone e precisando ruoli e responsabilità.

I nomi
Intanto ci sono loro, i sette amici finiti sulla graticola per avere indossato t-shirt con quella scritta stampigliata sul davanti la sera del 15 giugno scorso, al locale “Jonny Luanie” di San Daniele, in occasione della festa di compleanno di uno di loro. C’era Alberto Dall’Ava, figlio del titolare Carlo, e c’erano Gianluca Vidoni, Andrea Zovatto, i fratelli Giacomo e Giovanni Minini, Luca Cristofoli e Francesco Diasparra. Tutti di buona famiglia, com’è stato più e più volte rilevato in questi giorni di acceso e, a tratti, violento dibattito rispetto all’esecrabilità del gesto, e con un’età, vent’anni o poco meno, idonea a comprenderne portata e significato.

L’ottavo nome è quello di Matteo Ciotti: era stato lui, il sabato successivo, a prenotare un tavolo alla discoteca Kursaal di Lignano Riviera e a chiedere che fosse riservato, per l’appunto, al “centro stupri”. Durante quella serata nessuno indossò la maglietta, ma bastò l’immagine della targhetta, a sua volta rimbalzata sui social, a rinnovare lo scempio. E a suscitare l’ilarità dell’intera combriccola, formata anche da altri amici, ragazze comprese.

Situazione fluida
Il resto avvenne sul web ed è documentato dai messaggi di biasimo che molti giovani, offesi da quelle immagini, non esitarono a pubblicare. Chat (una parte delle quali poi cancellata, ma salvata in alcuni screenshot) cui alcuni degli odierni indagati risposero con toni ed espressioni non meno passibili di denuncia. Quale condotta attribuire a chi, tuttavia, sarà precisato nel prosieguo delle indagini, anche alla luce delle ulteriori annotazioni che il personale della Digos, diretto dal vicequestore aggiunto Michelangelo Missio e al lavoro per ricostruire nella sua completezza la vicenda, consegnerà al procuratore aggiunto, Claudia Danelon, che coordina le indagini.

Soltanto una volta acquisiti tutti i dati contenuti nei telefoni e nei profili social degli indagati e delle altre persone presenti alle due serate sarà infatti possibile disporre di un quadro complessivo dei fatti e allungare, come la Procura ritiene già verosimile, la lista degli indagati. Per ora, a quanto appreso dal capo della Procura per i minorenni di Trieste, Leonardo Tamborini, non risulta coinvolto alcun ragazzo non ancora maggiorenne. Ieri, intanto, gli agenti della Digos hanno sentito Tommaso Gasparini, titolare del negozio “Faccio Magliette Store” di Lignano cui uno dei ragazzi si era rivolto per stampare lo slogan choc.

 

Per approfondire la vicenda

La prenotazione
Appena partita e già rovente, l’inchiesta è dunque entrata nel vivo con le prime iscrizioni. È da questo momento che i difensori, fermo restando il segreto istruttorio, hanno titolo per iniziare a predisporre una linea difensiva e chiedere per i rispettivi assistiti la possibilità di essere interrogati. L’avvocato Maurizio Miculan, che difende cinque degli otto indagati, ha già annunciato l’intenzione di prendere contatti con il pm per chiarire (come riferito meglio nell’altro articolo in pagina) «i reali intendimenti della loro condotta».

Sarà l’avvocato Roberto Braida, invece, a seguire Ciotti, che non ha mai indossato la t-shirt, ma è finito nei guai per la prenotazione in discoteca. «L’ha fatta lui, perché conosce il Pr, avendo lavorato al Kursaal l’anno scorso – spiega il legale –. E fu proprio il Pr a rispondergli che poteva prenotare con il nome che preferiva: a provarlo sono i whatsapp che si scambiarono quel giorno».

I primi provvedimenti


La difesa
«La scienza ci dice che il linguaggio è un evento e pertanto è comprensibile solo all’interno del contesto che lo rende pienamente significante – osserva l’avvocato Federica Tosel, difensore di Diasparra –. In attesa di valutare con rigore l’imputazione, visto che una cosa è l’indicazione di una norma che la Procura assume essere stata violata, altra è la specifica condotta che viene contestata a ogni singolo indagato, sono convinta che il diritto penale debba colpire fatti ben più gravi dell’idiozia e la superficialità di non capire che le parole sono importanti e che vanno usate solo nei contesti in cui si possono utilizzare».

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