Caso Cospalat, ecco cosa ha detto Zampa al magistrato

Il presidente in cella da giovedì parla per 3 ore davanti al gip: «Dati sotto la soglia critica Due o tre i casi di sforamento e solo negli autocontrolli. Il Montasio? Mai commercializzato»

UDINE. L’eventuale presenza, nel latte conferito dai soci Cospalat, di valori di aflatossine M1 superiori al tetto di soglia fissato dalla normativa europea o al livello di attenzione che il Consorzio stesso si è auto imposto con protocollo spontaneo, «non è verificabile a priori, ma soltanto a posteriori».

Il ricorso alle controanalisi, quindi, altro non è che «la conseguente decisione del produttore di sottoporre la propria aliquota a un ulteriore momento di verifica, senza con ciò inficiare in alcun modo i dati delle analisi effettuate per legge dal Consorzio sulla massa (cioè, sul latte già mescolato dei vari conferitori, ndr)».

Ruota attorno a questo assunto la difesa che Renato Zampa, il presidente del Cospalat di Pagnacco arrestato giovedì scorso dai carabinieri del Nas, nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Udine sul latte contaminato da muffa cancerogena e, in qualche caso, da antibiotico, ha sostenuto davanti al gip del tribunale di Udine, Francesco Florit, nell’interrogatorio di garanzia tenuto nella tarda mattinata di ieri, nella casa circondariale di via Spalato.

Interrogatorio fiume. Affiancato dal proprio difensore, avvocato Cesare Tapparo, Zampa è chiamato a rispondere delle ipotesi di reato di associazione per delinquere finalizzata alla frode in commercio, adulterazione di sostanze alimentari e commercio di sostanze alimentari nocive.

Come precedentemente convenuto con il legale, nel “faccia a faccia” con il magistrato - durato circa tre ore - il numero uno del Consorzio di Pagnacco si è dunque reso disponibile a fornire tutti i chiarimenti necessari a precisare le circostanze riportate nelle 167 pagine dell’ordinanza, con la quale il gip Roberto Venditti aveva disposto nei suoi confronti la custodia cautelare in carcere chiesta dal pm Marco Panzeri.

Il sistema dei controlli. Prima di entrare nel merito dei singoli episodi contestati, l’indagato ha fornito al gip un quadro generale sulla normativa e sui controlli di legge in materia di aflatossine M1. Tre le tipologie di analisi alle quali il latte è sottoposto: quelle allo scarico, eseguite dai caseifici che acquistano da Cospalat; quelle obbligatorie, che il primo acquirente (ossia, nel caso specifico, Cospalat) deve effettuare sulla massa e comunicare all’Ass almeno due volte al mese; e quelle che Cospalat esegue nell’ambito di un protocollo spontaneo deliberato a livello consortile.

Ebbene, a finire nel mirino dei carabinieri del Nas sarebbero stati soltanto i risultati di quest’ultima categoria: le analisi, cioè, eseguite in regime di autocontrollo. «La normativa europea - ha detto l’avvocato Tapparo - ha stabilito il tetto a quota 50, mentre quello di attenzione imposto dal Consorzio è fissato alla quota più restrittiva di 30.

Al giudice abbiamo spiegato come, considerati i problemi legati alla concentrazione di muffe nel mais, talvolta possa succedere che la soglia di criticità venga superata, sebbene sempre di poco, ma come questa circostanza non sia in alcun modo verificabile a priori».

In altre parole, se uno degli allevatori dai quali la cisterna passa in un dato giorno, nell’ambito di un giro programmato tra più soci, conferisce latte non conforme, «non può saperlo prima, ma soltanto scoprirlo dopo, tramite le analisi eseguite al primo ingresso nel Centro raccolta di Pagnacco».

Episodi isolati. Due o al massimo tre, secondo i dati in possesso della difesa, i casi di “sforamento” dei limiti di soglia. O meglio, di avvicinamento al livello di attenzione. Casi che Zampa ha cercato comunque di ridimensionare.

«Capitava addirittura - ha riferito l’avvocato Tapparo - che, mentre l’analisi in autocontrollo dava risultati eccedentari, quella effettuata poi, sempre per volontà dei produttori, presso il laboratorio dell’associazione allevatori o i laboratori convenzionati con l’Azienda sanitaria, con il metodo più rigoroso previsto a livello europeo, risultasse ben inferiore, fermandosi a quota 25-30».

È proprio alla luce di queste considerazioni che la difesa ha deciso di chiedere l’esecuzione, meglio se nella forma dell’incidente probatorio, di una raccolta delle analisi di scarico e di quelle fatte dai singoli produttori.

Intercettazioni ingannevoli. Eppure, le intercettazioni telefoniche e ambientali dei colloqui tenuti, tra giugno e novembre 2012, tra Zampa, il suo staff e alcuni dei consorziati, rivelano superamenti ben più preoccupanti e calcolati anche in 90 e 100.

«Si tratta di forzature fatte dal presidente, per rivolgendosi ora a questo e ora a quell’allevatore - si limita a obiettare il suo difensore -. In tutta questa faccenda, le intercettazioni riportate nell’ordinanza si prestano quasi sempre a una doppia lettura».

Anche il termine diventato un po’ il “leit motiv” dell’inchiesta, quel «misciare» il latte buono con quello contaminato pronunciato innumerevoli volte da Zampa, secondo l’avvocato Tapparo va ricontestualizzato. «Non è adoperato nel senso di frodare - dice il legale -, bensì di raccogliere insieme».

Il caso Montasio. Quanto al filone legato alla presunta volontà di vendere ai caseifici partite di latte falsamente idoneo alla trasformazione in formaggio Dop Montasio, Zampa ha ricondotto il tutto a una serie di «equivoci».

«Cospalat - spiega l’avvocato - non ha mai commercializzato latte per il Montasio e non ha mai avuto la certificazione per farlo, per il semplice fatto che non ha mai aderito al disciplinare del Consorzio Montasio». All’origine degli episodi che avrebbero visto i caseifici “Toniolo casearia - Latteria di Selva”, “Latteria di Cavolano”, di Sacile, e “Latte Vivo”, di Feletto, subire l’ipotesi di frode, dunque, ci sarebbe quello che il difensore definisce «un travisamento totale» sulle fatture di trasporto.

«Sui documenti fiscali di Cospalat - afferma Tapparo - non c’era affatto scritto che il Consorzio commercializza latte per Montasio. Si tratta di una marea di documenti passati per più mani: nulla esclude che possano essere stati alterati dai caseifici stessi, dagli autisti o da altre persone».

Stop al carcere. Al termine dell’interrogatorio, il legale ha formalizzato richiesta di revoca o, in subordine, di attenuazione della misura cautelare della custodia in carcere. Decisione che il gip prenderà dopo avere acquisito il parere del pm. Nei giorni scorsi, la difesa aveva intanto presentato istanza al tribunale del Riesame.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto