Caso Resinovich, Liliana si è suicidata? Cosa dice la relazione dei medici legali e quali sono ancora i dubbi da risolvere

Ecco tutti i nuovi elementi contenuti nella relazione firmata da medici Costandinides e Cavalli. Ma rimangono ancora tante domande senza risposta

Laura Tonero

Liliana Resinovich si è suicidata e lo ha fatto due o al massimo tre giorni prima che il suo corpo venisse ritrovato, il 5 gennaio scorso, tra le sterpaglie del parco dell’ex Ospedale psichiatrico di San Giovanni.

È quanto emergerebbe dalla bozza della relazione di circa 50 pagine firmata dal professore di medicina legale Fulvio Costantinides e dal medico radiologo Fabio Cavalli, e inviata ai consulenti di parte per le loro osservazioni. Nella bozza - di cui ieri l’agenzia Adnkronos ha anticipato uno stralcio - gli esperti incaricati dal sostituto procuratore Maddalena Chergia riportano le loro conclusioni sul caso che dallo scorso 14 dicembre, giorno in cui la 63enne uscì per l’ultima volta dalla sua casa di via Verrocchio, tiene con il fiato sospeso i triestini e altri milioni di italiani. Tutti ansiosi di veder risolto il mistero di quel cadavere ritrovato nel parco dell’ex Opp, dopo quasi due settimane di ricerche, infilato in due sacchi neri e con due sacchetti di nylon sistemati sulla testa. E al collo un cordino, non stretto però.

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Ora a esprimersi su quella morte, dopo aver eseguito l’autopsia e gli esami tossicologici - che, come già reso noto dalla Procura di Trieste, avevano escluso l'assunzione di farmaci e di stupefacenti -, sono appunto Costantinides e Cavalli. I due consulenti, secondo quanto riportato dall’agenzia, ritengono si sia trattato di un decesso per asfissia, di una morte probabilmente volontaria, di «una morte asfittica tipo spazio confinato (“plastic bag suffocation”), senza importanti legature o emorragie presenti al collo».

In tal senso la relazione evidenzierebbe come i sacchi integri che contenevano il corpo della vittima siano poco compatibili con un caso di aggressione e con il trasporto del corpo in un ambiente impervio come quello in cui è stato trovato il cadavere. Verrebbe sottolineata anche l'assenza di «qualsivoglia segno ragionevolmente riportabile a violenza per mano altrui», la mancanza «di lesioni attribuibili a difesa» e di altre ferite che avrebbero potuto impedirle di reagire a un'aggressione. In merito all’asfissia - che quindi avrebbe poi provocato lo scompenso cardiaco acuto che ha determinato la morte di Liliana -, i medici constaterebbero come il fatto che i sacchetti non siano stati trovati stretti al collo, ma semplicemente infilati sul capo, non escluda «una morte per una possibile asfissia di questo tipo: se è vero infatti che basta l’inspirio per far aderire il sacchetto agli orifizi del volto cagionando deficit di ossigeno, tale aderenza può essere anche intermittente o addirittura non esserci essendo sufficiente per il soffocamento l'accumulo progressivo di anidride carbonica espirata ed il rapido consumo dell'ossigeno nel poco volume aereo offerto dal sacchetto».

L’ipotesi avanzata dai consulenti della Procura, ritiene quindi plausibile che l’asfissia sia stata provocata dai sacchetti, «in assenza di altri segni di asfissia meccanica violenta (strozzamento, strangolamento) - riporterebbe la bozza -, non emergendo, inoltre, chiare evidenze oggettive omicidiarie, come pure ipotesi più rare e remote come l'abuso di solventi, le manovre legate ad erotismo con asfissia posta in essere a scopo sessuale».

Fin qui, dunque, delle conclusioni coerenti la ricostruzione narrata fino ad oggi. Ma ci sarebbe un punto della relazione che stravolgerebbe il racconto di quelle giornate e aprirebbe nuovi interrogativi. Per i due medici, infatti, Lilly sarebbe morta «due o tre giorni prima del suo ritrovamento avvenuto il 5 gennaio scorso», riporta l’agenzia. Nel documento a firma dei due professionisti verrebbe infatti evidenziato come il corpo «non presenti evidenti lesioni traumatiche possibili causa o concausa di morte, con assenza di solchi o emorragie al collo, con assenza di lesioni da difesa, con vesti del tutto integre e normoindossate, senza chiara evidenza di azione di terzi».

Se così fosse stato, però, dove si sarebbe nascosta Liliana per oltre due settimane? È bene ricordare che la donna è uscita di casa senza documenti, senza denaro, senza carte di credito, senza i suoi due telefoni cellulari e senza green pass. Tra l’altro, dagli esami sul cadavere era emerso che nel suo stomaco erano state trovate tracce della colazione consumata poche ore prima, a casa. Si menzionava anche vi fosse evidenza di un integratore che assumeva abitualmente. Qualcosa insomma non torna: e se la bozza della relazione diffusa ieri trovasse conferme, servirebbe dunque un supplemento di chiarezza su molti punti della vicenda.

A fronte di queste indiscrezioni, il procuratore capo Antonio De Nicolo si è limitato a precisare che «la relazione non è stata ancora qui depositata e, senza averla prima esaminata, non intendo dichiarare alcunché».

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