C’è il nuovo digitale e i decoder delle tv sono tutti da cambiare

UDINE. Arriverà nel 2022 il nuovo digitale terrestre, la rivoluzione che manderà in “pensione” i vecchi televisori. Gli italiani avranno tempo, quindi, cinque anni per adeguarsi alla tv del domani.
Un cambiamento che imporrà il passaggio a nuove frequenze televisive, ma soprattutto l’acquisto di apparecchi di ultima generazione, o alla meno peggio, di un nuovi decoder che risponderanno al sistema DVB-T2, l’estensione dell’attuale decodificazione. Per le tasche degli italiani, secondo l’associazione consumatori dell’Adoc, si tramuterà in un “danno di 300 euro a famiglia e a nuovo caos switch off”, nonostante i 100 milioni di euro messi sul piatto dal governo entro il 2022 come contributo per l’adeguamento delle tv.
Le tappe del digitale 2.0
Nel testo della Finanziaria 2018 è stato inserito un articolo, il numero 89, intitolato “Uso efficiente dello spettro e transizione alla tecnologia 5G” che norma tutte le fasi e i tempi del passaggio alla nuova modalità di trasmissione, che renderà obsoleti milioni di apparecchi in tutta Italia, addirittura nove su dieci, secondo le stime. Il passaggio sarà graduale, regione per regione ed emittente per emittente.
Comincerà nel 2018 e sarà completato nel 2022. Tutto nasce dal “Piano della Commissione Europea” sul 5G. L’Italia, come già altri Paesi dell’Ue, deve togliere alcune frequenze dalle televisioni per consentire il debutto delle reti mobili a banda ultra larga. Per liberarle le tv dovranno passare al DVB-T2 che appunto permette di trasmettere gli stessi canali, anche in qualità maggiore, su una minore quantità di frequenze rispetto a ora.
Il primo step è affidato all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che entro il 31 marzo 2018, quindi in tempi strettissimi, dovrà definire «le procedure per l’assegnazione dei diritti d’uso di frequenze radioelettriche», con lo scopo di rendere gli apparecchi strumenti di multipla fruizione tecnologica, con una copertura il più ampia possibile del territorio nazionale ma con una particolare attenzione all’annoso problema delle interferenze con i paesi confinanti, dove spesso le frequenze si sovrappongono. Il passaggio successivo sarà entro il 30 settembre del 2018, quando il Ministero dello sviluppo economico provvederà all’assegnazione dei diritti d’uso delle frequenze in banda con disponibilità dal 1 luglio 2022.
Poi sarà sempre l’Agcom ad adottare il piano nazionale di assegnazione delle frequenze da destinare al servizio televisivo in digitale terrestre. Sarà entro il 28 febbraio del 2019 che avverrà, quindi, il rilascio da parte del Ministero dello sviluppo economico dei diritti d’uso, che prevedono per il servizio pubblico «radiofonico, televisivo e multimediale sino al 40% della capacità trasmissiva del multiplex regionale». Il periodo transitorio vero e proprio poi sarà quello dal primo gennaio 2020 al 30 giugno 2022, quando avverrà, con modalità ancora da definire, il passaggio vero e proprio da una tecnologia all’altra.
Gli svantaggi e i contributi
Con la rivoluzione digitale bisognerà fare i conti con la risintonizzazione dei canali e di conseguenza con una nuova numerazione sul telecomando. Ma questo sarà il disagio minore. Perché ci sarà la scomodità, per chi ha un televisore acquistato prima del 2017 – i nuovi apparecchi sono già adeguati agli standard di ultima generazione richiesti –, di procurarsi un decoder e di installarlo, e di agire con un doppio telecomando. Dovranno anche essere adeguate le antenne centralizzate dei condomini.
Per venire incontro a questo intoppo la legge di Bilancio mette sul piatto 100 milioni di euro entro il 2022 – 25 milioni di euro per ciascuno degli esercizi finanziari 2019-2022 – come contributo alle famiglie che coprirà al massimo, secondo una stima, una parte del costo del nuovo decoder a utenza.
Per chi rientra nella fascia di reddito (2 milioni circa) già esonerata dal pagamento del canone si prevede, invece, un contributo unitario fino a 50 euro. Non è comunque escluso che all’occorrenza gli incentivi attualmente previsti vengano innalzati. La fase del passaggio avverrà sotto il monitoraggio del ministero dello Sviluppo economico, come avvenuto in passato in occasione dello spegnimento dell’analogico quando gli incentivi sono stati dati in base al reddito e per un solo televisore a famiglia.
La protesta dei consumatori
Per l’Associazione Difesa Orientamento Consumatori lo switch off digitale comporterà un salasso di circa 300 euro a famiglia. «I consumatori hanno già pagato dazio una volta – dichiara Roberto Tascini, Presidente dell’Adoc – e continuano a pagarlo, dato che ancora ad anni di distanza il segnale del digitale terrestre risulta spesso basso o assente, con intere porzioni del Paese impossibilitate a vedere alcuni canali, siano essi Rai, Mediaset o altri.
Ora, con l’imposizione del nuovo formato DVBT-2 e la nuova assegnazione di frequenze c’è il rischio concreto che il “balletto delle televisioni” ricominci, con milioni di famiglie italiane obbligate di nuovo a mettere al mano al portafogli per aggiornare i propri apparecchi televisivi o ad installare un nuovo decoder».
«Chiediamo pertanto a Governo e Agcom – questo è l’appello – di prevedere soluzioni a basso impatto, come messe in atto nella vicina Francia, dove si è deciso di mantenere l’attuale formato DVBT e di modificare lo standard di trasmissione da Mpeg-2 a Mpeg-4, in modo da consentire alla quasi totalità delle famiglie di non spendere soldi per l’adeguamento delle proprie televisioni.
Il Governo avrebbe dovuto evitare in tutti i modi di far rivivere alle famiglie italiane l’incubo, economico e organizzativo, che ci fu con lo switch-off dal segnale analogico al digitale. Sarebbe bastato, in questo caso, portare il segnale sul satellitare, liberando totalmente la banda ad un costo decisamente inferiore.
Gli incentivi attualmente previsti per l’acquisto di nuovi televisori e decoder, pari a circa 25 euro per decoder, non sono sufficienti né dal punto di vista economico né quantitativo, visto che coprirebbero solo 4 milioni di apparecchi. Servirebbero maggiori incentivi, che permettano ai consumatori di risparmiare almeno la metà delle spese».
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