Centinaia di ettari di abeti rossi distrutti dal bostrico: così l'insetto sta devastando i nostri boschi

TOLMEZZO. Ha approfittato della tempesta Vaia per diffondersi, attaccando intere foreste di abeti rossi, indeboliti dallo shock termico provocato da estati calde e inverni siccitosi. Oggi l’opera del bostrico, soprannominato “tipografo” – perché le gallerie scavate dalle larve che si nutrono di legno sotto alla corteccia degli alberi sembrano testi stampati –, sta cambiando il profilo delle montagne del Tarvisiano e della Carnia, dove la voracità dell’insetto ha compromesso 150 ettari di “peccete”.
Una calamità che ha striato i profili dei boschi con le scie scure del legname bostricato, soggetto a un rapido deterioramento ed economicamente poco redditizio a causa del colore bluastro che assume la parte più esterna del fusto, l’alburno. Per fermare un attacco che rischia di trasformare per sempre i profili delle montagne friulane ed evitare un contraccolpo fatale all’attività delle imprese boschive locali, a livello regionale è stata creata una cabina di regia. L’Uti Carnia e il Consorzio Boschi carnici, al lavoro per censire l’estensione del fenomeno, attendono la nomina di un commissario per l’emergenza e l’arrivo di fondi per agire, annuncia il sindaco di Forni di Sopra Claudio Coradazzi, delegato Uti per le Foreste.
«Abbiamo coinvolto l’assessore alle Risorse forestali Stefano Zannier, chiedendo di poter attingere ai fondi per l’emergenza Vaia – annuncia – perché l’imperativo è intervenire tempestivamente per eliminare alla radice il problema, tagliando e rimuovendo le piante danneggiate e impedendo che l’insetto ne attacchi altre, anche con l’impiego degli elicotteri. E sono necessarie risorse per aiutare le aziende a intervenire quando la difficoltà a raggiungere le aree colpite e lo scarso valore del legname danneggiato rendono antieconomici gli interventi».
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Il problema esiste da anni, segnala Massimo Peresson, imprenditore agrituristico e presidente del Consorzio malgari Carnia e Valcanale «ma negli ultimi mesi ha assunto una dimensione drammatica, abituiamoci a un panorama che cambia e cede terreno alle latifoglie» osserva Peresson. «Le resinose conifere che hanno caratterizzato la montagna carnica e l’arco alpino si stanno seccando e stanno morendo, già agli inizi del Novecento, Severino Somma accennava ai rischi della monocoltura e all’eccessiva presenza dell’abete rosso».
Là dove le peccete si sono diffuse, infatti, un tempo cresceva anche il faggio, meno apprezzato per la carpenteria e l’artigianato, quindi soppiantato dalle abetaie. A studiare il fenomeno assieme ad alcuni colleghi è l’agronomo forestale Michele Simonitti. «La diffusione di questo insetto xilofago è strettamente legata agli eventi climatici: si era già esteso in Valcanale e, in seguito ai fenomeni post Vaia, ha coinvolto i boschi della Carnia, la valle del But e la conca tolmezzina specialmente, colpendo le aree più esposte all’irraggiamento solare che risentono della scarsità di acqua, in particolare i versanti esposti a sud. Ritengo che in questa fase – osserva Simonitti – si debbano percorrere iniziative a livello regionale, ma è necessario mettere le imprese boschive nelle condizioni di lavorare, come sta facendo la provincia di Trento.
La Regione, da tempo, cerca di potenziare le infrastrutture montane e bisogna proseguire in questa direzione: disporre di una rete viaria adeguata è fondamentale per poter raggiungere le aree coinvolte ed effettuare i trattamenti fitosanitari, così come lo sono le risorse che permettono alle imprese boschive di sostenere economicamente il taglio e il recupero del legname danneggiato».
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